martedì 30 ottobre 2018

Presidente della Provincia: una scelta difficile

Sento il dovere di condividere una riflessione sul tema del nuovo Presidente della Provincia, perché da quando sono stato eletto, è forse la questione che più mi ha interrogato e fatto “soffrire”, considerato poi che su di me, consigliere di Vicenza, pesa anche la responsabilità di rappresentare (nel mio piccolo) il mondo civico e l’area del centrosinistra nell'interesse generale.
Questi sono giorni di vacanza “forzata” per noi insegnanti, a seguito del rischio allagamento, occasione per  prepararmi alle riunioni, alle Commissioni e ai direttivi in programma. Domani poi è un giorno importante, in V Commissione si parla di Ipab e, soprattutto, si vota per il Presidente della Provincia. 
Io e gli altri colleghi di minoranza di Vicenza non parteciperemo

Sono nuovo nel mondo dell’Amministrazione e della politica in generale, quindi provo a fare un favore a me stesso e alle persone che mi stanno vicine spiegando cosa significa questo voto. Non per dare lezioni, ma per capire bene l’importanza di questo momento per la nostra Comunità e per spiegare perché dico: “scelta sofferta”. In questi giorni veniamo definiti  “consiglieri ribelli”. Sebbene sia un aggettivo che a me piace molto, in questo caso mi rende triste perché quello che ci muove, invece, è distantissimo dalla “ribellione”.

Mi spiego. Dopo l'esito del Referendum Costituzionale, la Provincia rimane un Ente al servizio dei Comuni e al servizio dei cittadini, gestendo funzioni fondamentali come, ad esempio, le strade, le scuole medie superiori, l'ambiente, nonché alcune funzioni delegate dalla Regione come l’urbanistica, la protezione civile, il turismo. La Provincia nomina anche i rappresentanti in Enti, Aziende, Consorzi, Istituzioni, Società e organismi partecipati. Insomma, una grande responsabilità. Anche perché il Presidente della Provincia adotta provvedimenti amministrativi solitamente in forma di decreto, ovvero in una forma definitiva e immediatamente esecutiva. Un grande potere.

Dal 2014 però non si vota più andando ai seggi, perché questo voto è delegato ai sindaci e ai consiglieri comunali in carica a Vicenza e nella sua Provincia. Il voto viene ponderato a seconda della fascia di popolazione del comune rappresentato dall'elettore: abbiamo proprio una scheda di colore diverso, perché il voto di noi consiglieri di Vicenza, rappresentanti del Comune più grande, conta diversamente (di più).

Gli scorsi 4 anni hanno visto come Presidente Achille Variati, che ha voluto impostare il suo governo non secondo la logica “centrodestra contro centrosinistra”, bensì come “Casa dei Comuni”, luogo di collaborazione fra amministratori di città e provenienze politiche diverse per governare un’area vasta nell'interesse di tutti. 

Le ultime settimane sono state particolari. Chi mi conosce sa che non prendo questi appuntamenti “alla leggera”, soprattutto perché essendo nuovo cerco di informarmi il più possibile, nel rispetto più totale del mio ruolo e delle istituzioni con le quali ho l’onore di interfacciarmi. Sono poi un convinto sostenitore del dovere del voto, a maggior ragione in questo caso dove faccio da tramite.
Da qualche tempo io, Sandro e le persone che con me fanno politica, abbiamo chiesto, valutato, indagato chi fossero le persone che si volevano offrire per questa importante carica. Sapevamo che dopo le recenti elezioni il “vento” politico in Provincia girava a favore del Centrodestra, ma guardavamo, per esempio, con grande ammirazione e speranza a figure “nuove” come il giovane Sindaco di Chiampo Macilotti, che poteva essere il profilo di un amministratore “dal basso”, slegato da appartenenze ideologiche o partitiche, dove convergere insieme ad altri.

Ebbene, è successo che a poche ore dal termine di presentazione delle candidature, tutte, ma proprio tutte, le anime amministrative provinciali (centrodestra, centrosinistra, civici) convergessero sulla figura del Sindaco Rucco, con accordo firmato da alcuni rappresentanti circa le deleghe, le Vicepresidenze, la conformazione del futuro Consiglio Provinciale.
Una situazione a noi totalmente sconosciuta e, chiaramente, davvero difficile.

In primo luogo, avevamo bene in mente le parole del Sindaco che esprimeva – giustamente -  la preoccupazione sulle difficoltà che il quadruplo ruolo (Sindaco, Cultura, Sicurezza, Provincia) potesse comportare in un momento in cui la Città necessita del massimo impegno. Il Sindaco poi è solo da qualche mese alle prese con le difficoltà dell’amministrare, una responsabilità ben diversa da quella del “consigliare”.

In secondo luogo per il metodo con cui è avvenuta la scelta, che riflette la mancanza di un progetto condiviso. Che bello sarebbe stato trovarsi con altri amministratori della nostra terra, non dico per fare scelte diverse, quantomeno per conoscersi e capire, valutare di persona con chi doveva essere l’anima e il motore di questo accordo! 
In generale penso che, ancora una volta, si sia persa un’occasione. Un centrosinistra sempre più in crisi di consenso, perché in crisi di idee, ha scelto (pur con le sue ragioni) un accordo di spartizione delle cariche piuttosto che impegnarsi nella stesura di un documento programmatico forte e condiviso che individuasse le priorità di intervento nel territorio. 
So di per certo che le persone che hanno lavorato per questo accordo hanno agito in buonafede, pensando al bene di tutti, anche di quegli amministratori di centrosinistra che resistono nei nostri territori e che non possono rimanere fuori, lasciati soli, esclusi. L’amarezza però viene dal pensare al nostro compito, al dovere di rappresentare – anche - un’alternativa culturale e politica alla Lega e alle destre, di provare piano piano a valorizzare quei modelli veneti che resistono a questa lunga onda che oggi ci governa ad ogni livello.

Mi viene in mente questo passo dei Piccoli Maestri (guarda caso, ambientato in Provincia..)

"In tutta la provincia avvenivano le stesse cose, come al mio paese. La gente si radunava, si contava, sbandati fraternizzavano con in nuovi renitenti, le famiglie incoraggiavano. c'era un moto generale di rivolta, un no radicale, veramente spazientito. Il moto degli animi investiva non solo il regime crollato, ma l'intero mondo che in esso si era espresso. La gente voleva farla finita e ricominciare. Tutti andavano a tentoni. Tutto era nell'idea di doversi arrangiare da sé, perché si sentiva che tutto era andato in un fascio, sia il fascio che il resto; e così qualunque iniziativa, anche la più moderata, conteneva un germe di ribellione, e questi germi fiorivano a vista d'occhio. Gli istituti non c'erano più, li avremmo potuti rifare noi, di sana pianta;   era ora". 

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