martedì 8 settembre 2020

Il nostro 8 settembre

Come sempre non capisci davvero quanto è importante un gesto, o una parola, fino a quando questa viene a mancare. C’è voluta questa strana stagione di giuste ma difficili limitazioni per capire quanto Monte Berico sia un posto speciale, non solo per i vicentini e non solo per i credenti. Da diversi anni percorro d’estate le strade dei nostri Colli Berici con ragazzi da tutta Italia: siamo soliti cominciare il cammino proprio dal Santuario.

Abbiamo il privilegio, qualche giorno prima della festa dei 8, di entrarci da soli, la sera, i frati ci fanno entrare in silenzio: noi e i ragazzi. Come è solito ricordarci Lorenzo, la fortuna è grande, visto il gran via vai di fedeli e celebrazioni durante le giornate. Camminiamo scalzi dentro la Basilica, grande e sfarzosa, e così facendo è più facile vedere oltre le decorazioni, i marmi, le grandi pale del barocco, spesso sinonimo di lusso e portatore di una teatralità che può ingannare, come contraddire, lo spirito del luogo.

Siamo soliti rimanere in silenzio, leggiamo le parole di In nome della madre di Erri De Luca e giriamo affidandoci ai sensi, osserviamo le offerte votive, qui raccolte in secoli di pellegrinaggi, arrivate da famiglie e persone di ogni tipo, ricche e povere, in situazioni di sofferenza e precarietà, ma anche per ringraziare, sperare. A prescindere dall'essere credenti o meno, è uno strano effetto provare a immergersi in questo forte legame con la Madonna, una intercessione ancora molto sentita, perché la si può sentire. Come noi tanti pellegrini arrivano dalla città e dai paesi vicini a piedi.

La Madonna è ben visibile quando entri in Santuario, dall’alto con il suo mantello protegge e come riscalda i supplicanti sotto di lei. Un grande tondo d'argento rappresenta l'apparizione a Vincenza Pasini, contadina di Sovizzo. È usanza che i pellegrini passino in corteo o da soli dietro l'altare, vicino alla statua, e accarezzino il medaglione con i bassorilievi. Così facciamo sempre anche noi, ed è una sensazione particolare: in questo momento non si può fare. 

Credo fortemente che sia una ricchezza conservare questa tradizione e, coltivarla, e comunque la si pensi, rivolgere una preghiera come è stato in passato. 

Dopo aver dormito a Monte Berico, partiamo. Nello zaino, a turno, teniamo questa semplice statua di Maria. Ci si dà il cambio per portarla. Tanti ragazzi, questi anni, l’hanno protetta e trasportata, pronta a entrare nel prossimo zaino.

venerdì 24 aprile 2020

Lassù ci siamo sentiti veramente liberi

Piccoli maestri: un libro da leggere, studiare, rileggere. Un capolavoro dell’antiretorica, un unicum nella letteratura della Resistenza.  Fa tenerezza ed è bello immedesimarsi nelle paure di questa piccola banda di studenti vicentini, nella difficile scelta di non arruolarsi per la Repubblica di Salò. Per questi ragazzi andare in montagna significa emanciparsi da un processo di “diseducazione”, partecipare alla Resistenza è «il culmine della nostra scuola». 


L’esperienza della guerra civile è l'educazione di una generazione: un gruppo di giovani universitari vicentini, espressione di un’Italia “normalizzata” dall’indottrinamento fascista. 
Una “scuola”: composta da compagni di università e di vita uniti da un legame di natura “educativa”, politica. Una comunità auto-educante con tanti maestri, uno su tutti, Antonio Giuriolo. 
La Resistenza è un’avventura individuale e insieme di gruppo, una storia di redenzione personale. Gigi parla di un gruppo di “banditi” - «Just a fucking bandit», rispondendo all’ufficiale americano che gli chiede, in conclusione al libro, «you a poet?». Un viaggio che Meneghello conduce con i suoi tipici strumenti espressivi: l’ironia, lo scherzo, la demitizzazione delle “grandi cose”.

In questo piccolo passaggio si percepisce qualcosa di questa “pedagogia rovesciata”, dove i giovani sono chiamati dalla circostanze della storia a insegnare a se stessi, a ri-educarsi, anche a costo di continui incidenti e fallimenti e senza sapere bene dove andare. "L'unica cosa che poteva orientarci, in mezzo al Paese crollato, era quello che faceva di noi un gruppo". 



L’incontro (avvenuto in Altopiano) con il mondo “di periferia” è associato con la scoperta dei paesaggi magnifici delle montagne vicentine («il paesaggio più bello che conosco»). Sono fra le pagine più belle del libro, immagini indelebili nella formazione e nella memoria dello scrittore. La riscoperta di questo angolo del Veneto offre ai ragazzi la serenità necessaria per riflettere su sé stessi, ripensare a chi diventare e all’Italia che si voleva costruire. “Siamo sopra l’Italia!” - dice Gigi: in questo ambiente le truppe tedesche e fasciste hanno più difficoltà a convogliare la propria potenza militare. Per molti di loro significherà comunque la morte. 


Nelle montagne, un ambiente apparentemente ostile, avviene una fusione con il mondo esterno, una metamorfosi delle categorie di pensiero, di cui parla Gigi in questo capitolo. I “teatri” e i suoni della montagna scandiscono le giornate dei giovani studenti venuti dalla città: “quando cantava il cuculo – perché in Altopiano cantano in maggio – noi non eravamo spettatori, turisti. Noi abitavamo lì nello stesso bosco, erano cose vere e non spettacoli, ora che eravamo della stessa parrocchia anche noi”.





lunedì 20 aprile 2020

Torino, casa Levi

Di questo libro rapisce la straordinaria delicatezza con la quale Natalia Ginzburg racconta le vicende della sua famiglia e della propria giovinezza, nella Torino del Ventennio. È la storia della famiglia Levi dagli anni Trenta fino ai primi anni del dopoguerra. Natalia è l'ultima di cinque figli: il padre, insegnava anatomia comparata all'università. Ricordando le storie del suo passato, Natalia ripercorre il linguaggio, i modi di dire, le consuetudini del suo passato. È un libro “delicato” perché anche il contorno storico (il fascismo, gli arresti, le leggi razziali, la guerra) non stravolgono l’affetto della memoria per i propri cari.  

È anche la storia di grandi personaggi che frequentano l’ambiente colto dei Levi, personalità fondamentali della storia italiana, ma qui descritte con ironia e divertimento, con semplicità, nella vita di tutti i giorni.

Frequentando questi intellettuali Natalia conosce Leone, studioso e traduttore della letteratura russa. Alla famiglia si intrecciano eventi e nomi cruciali della cultura antifascista torinese: da Filippo Turati a Vittorio Foa, da Adriano Olivetti (che diventerà cognato di Natalia), a Cesare Pavese, Felice Balbo, Eugenio Montale. Il fascismo per i Levi significa - nell'ordine - la perdita del lavoro, prigionia politica, confino e, come nel caso del marito Leone, rinchiuso nel carcere di Regina Coeli, morte.

“Prende il cuore”, avvicinandosi al prossimo 25 aprile, trovare nella storia di questa famiglia un antifascismo naturale, istintivo, semplice: il loro "no" pare l'unica reazione possibile al male di quel tempo. Un "no" che significherà, per gli uomini di casa, la continua necessità di nascondersi, e non sarà sufficiente. 
A dispetto degli eventi narrati, non è affatto un libro triste. Tutto (i ricordi, gli amici, le idee, le paure, la lotta per ribellarsi) è ricordato con calma e amore attraverso il filtro del linguaggio comune, familiare. 

Vediamo la nascita della casa editrice Einaudi. È incredibile, mentre si legge, immaginarsi di essere lì, in mezzo alle grandi menti che hanno fatto la storia della scrittura, della cultura e della politica italiana. In casa dei Ginzburg si nasconde per diversi giorni Filippo Turati, sotto il nome di Paolo Ferrari. Quindi Adriano Olivetti, amico di famiglia. con il quale si combatte silenziosamente contro il fascismo. Natalia ricorda i giorni delle fughe, e “il grande conforto che sentii nel vedermi davanti, quel mattino, la sua figura che mi era così familiare, che conoscevo dall’infanzia, dopo tante ore di solitudine e di paura… E aveva, quando scappammo da quella casa, il viso di quella volta che era venuto da noi a prendere Turati, il viso trafelato, spaventato e felice di quando portava in salvo qualcuno

Enormi gli eventi che fanno da contorno: l’ascesa di Mussolini, la morte di Leone, la prigionia del padre, la fuga dei fratelli. Ma il linguaggio fa memoria. Qualcosa di molto simile all'operazione sulla memoria operata da Meneghello in quegli stessi anni. Lessico Famigliare come Libera nos e Piccoli maestri si aggrappa alle radici, all'urgenza di tenersi stretta la propria identità quando le certezze scompaiono. “Una di quelle frasi o parole ci farebbe riconoscere l'uno con l'altro, noi fratelli, nel buio di una grotta, fra milioni di persone. Quelle frasi sono il fondamento della nostra unità familiare, che sussisterà finché saremo al mondo, ricreandosi e resuscitando nei punti piú diversi della terra”.

In questo passaggio Natalia racconta della sua famiglia e dei suoi amici, della cultura torinese fra le due guerre, di Leone Ginzburg e Cesare Pavese, della casa editrice Einaudi. Troviamo gli aspetti umani di volti noti e la storia raccontata attraverso la vita di tutti i giorni:




domenica 19 aprile 2020

Il discorso del bivacco

Marcia su Roma e dintorni, come - per la Prima Guerra Mondiale - Un anno sull'Altopiano, è un libro che parla e che indaga. Per me è stato potente incontrare questi libri, è successo durante l’ultimo anno di scuola superiore. Non sono mai stato un ottimo studente, concentrato com'ero sui contorni delle cose, troppo poco spazio per lo studio personale e la fatica.


L’ultimo anno di "scuola" – in realtà tutto il tempo del liceo – è immerso in una dolce melanconia che mischia ricordi reali a sequenze mentali idealizzate: a metà fra Vicenza e Hogwarts. Ricordo l’ultimo anno al Pigafetta per la maturità, le compagnie di amici, la stagione politica del Dal Molin: per tanti “giovani di città” una palestra, una vera scuola. “L’ultimo anno” ha significato anche “chiostro di San Marcello”, un privilegio, essendo il chiostro sempre chiuso, fino ad allora, per restauro. Un luogo misterioso ai più... Ci sentivamo importanti. 

La professoressa di Storia e Filosofia, Carla Poncina, mi ha letteralmente trascinato dentro alcuni libri. Ho amato le storie italiane del Novecento, l’ascesa del Fascismo, la Guerra Mondiale, la Resistenza. Mi ha reso partecipe di una storia che era anche mia, vicentina, che cominciava fin dentro la mia scuola, dal chiostro.

goffo tentativo di disegnare Lussu: ci ho provato!
Queste pagine che leggo io oggi, mi hanno incollato alla bocca della professoressa, quando le ho sentite per la prima volta. Hanno la forza di chi scrive in mezzo alla storia, da protagonista, all'inizio del Fascismo. Si percepiscono la rabbia, la disillusione, il non credere a un'ascesa probabilmente evitabile. Sono anche le parole di chi per primo si oppose strenuamente, e perse. Un lungo processo, quella della fascistizzazione del Paese, descritto in un libro di poche pagine, scritto a Parigi nel 1931 per chiedere aiuto alle democrazie occidentali. 

Combattente valoroso sulle nostre montagne, parlamentare, Lussu ci parla di una Sardegna dove il fascismo arriva tardi ed è tendenzialmente osteggiato, deriso, incompreso nelle tinte grottesche ma sempre squadriste e violente nelle quali si manifesta. Accanto a questo, il conformismo e il servilismo di  molti politici che da oppositori del fascismo si trasformano in fascisti convinti,  una volta cambiato il clima politico. 
Lussu viene aggredito, ripetutamente, da molti che hanno combattuto insieme a lui la Guerra Mondiale e che lo rispettano. Rischia la morte più volte. 

Il paese è nel caos: violenze e uccisioni avvengono senza che Polizia ed esercito intervengano, Lussu viene colpito da un miliziano e aggredito in casa, ricoverato in ospedale.

Questo è il primo discorso in Parlamento del futuro Duce, quando ha ricevuto dal re, dopo le dimissioni di Facta, l’incarico di formare il nuovo governo. Il celebre “Discorso del Bivacco”, reso possibile dalle conseguenze della marcia su Roma. Tanti i colpevoli del Colpo di Stato, a cominciare dalla classe dirigente liberale che si illude di inglobare il fascismo – istituzionalizzando i suoi metodi violenti e squadristi - il tempo necessario per sconfiggere i propri avversari politici, fino al Re, che revoca lo Stato d’assedio e addirittura affida a Mussolini l’incarico di un nuovo governo.

Oggi come allora impressiona la miscela di minacce di questo primo storico discorso. Un oratore abile, che già palesa la futura ondata di violenza che tuttavia i contemporanei non riescono a riconoscere con chiarezza.  Le figure degli oppositori appaiono patetiche. Cedimento morale, opportunismo, trasformismo: tutto questo si ritrova nelle parole di Lussu, così come la la minaccia, l’abilità di intimidazione di Mussolini, e al tempo stesso la paura, la debolezza dell’opposizione.

Mussolini gioca come il gatto con il topo, suscita terrore, minaccia di trasformare il Parlamento in un “bivacco” per i suoi ”manipoli”, facendo capire che si chiede di votare la fiducia non per garantire un governo, ma per la sopravvivenza dei deputati.. Nelle sue parole tutto l’orgoglio di chi si professa antiparlamentare e antidemocratico, il fastidio verso le parole che generano pensiero, l'odio per le procedure complesse della politica, l'annullamento del dissenso. 
Il capitolo è molto denso:


Lussu parla di partiti, schieramenti, scenari storici e culturali completamente diversi oramai dai nostri. Eppure due punti, che troviamo nella prefazione di De Luna, valgono oggi come valevano ieri:

1 – Il rapporto con il “potere”. Secondo Lussu: “per uno di sinistra il potere è solo un posto di responsabilità e di lotta, psicologicamente identico al posto che differenti momenti politici impongono, si occupi il carcere, al confino, in esilio o fra i partigiani

2- la funzione essenziale, in democrazia, dell’opposizione
Il Paese, i suoi rappresentanti lo possono servire in due modi: nell'assumere la grande responsabilità dell’amministrazione dello Stato, e nella critica dall'opposizione. L'opposizione è un dovere civico, ugualmente degno  e indispensabile quanto quello di assumere la responsabilità della direzione dello Stato"