domenica 19 ottobre 2014

Via Francigena



 
In fila, sudati, attaccati, accecati, in attesa, stupiti. Di certo i compagni di strada più necessari sono quelli che non ti aspetti. Io ti cercavo, tra le mura dei borghetti, i visi sudati, ma non ho avuto bisogno di te.


Chi fa da sé gira a destra e poi sale, si bagna i piedi nella fontana del paese; taglia una collina, studia le colonne e progetta difficili camminate coi viandanti più veri.

giovedì 9 ottobre 2014

Direzione: Turchia


Immagazzino grandi quantità di sogni e con essi il desiderio fortissimo di realizzarne qualcuno.
Non invidio di nessuno.
Sì, sono insicuro: non so cosa fare, non so dove andare. Va bene così, cara mia, va bene così!
Consumo le strade della mia città-da-giorno e mi accorgo della grande bellezza che è aggiungere piccoli tasselli, un poco alla volta, a un’esistenza precaria per definizione: e appunto per questo più viva, più difficile, più vera del vero.

Mi accorgo anche dei traguardi che passano, dei quali siamo testimoni interessati e divertenti. 
Eppure è vero: in questo momento della nostra vita non si invecchia di niente, non di un centimetro. 
Ogni progetto, o lezione, o annuncio di lavoro, ci rende più saggi, grandiosamente più lontani dalla realtà, forse più innamorati. Io cammino fra le vie del Ghetto e mi sento più a casa di sempre; immagino una casa, al pianterreno, che dà sul Duomo. Non è un futuro da gente-tranquilla, è un affare conveniente, 180 euro e poco più.


giovedì 21 agosto 2014

Tutto o niente


A cosa conduce questo sforzo? Per me è grande, e non è ancora finito; ci sono solo vicino. Non vedo nessuno che compia lo stesso mio percorso: chi si ferma dopo, chi ne dà poca importanza, chi ha già fatto, ha già concluso. A cosa mi conducono, allora, questi viaggi e questi libri? Cambierà qualcosa nel mio modo di essere, nelle mie gioie future, in quello che gli altri pensano di me, o di quello che farò nel prossimo futuro? Cosa pensavo di ottenere? Mi sento così piccolo.. Volevo dimostrare qualcosa a qualcuno? Questo sì. Perché io non sono adulto, non ragiono e non mi comporto da adulto. Sono grande solo nelle piccolissime cose.

Non crescere è un ottimo rimedio all'angoscia, che non provo, nemmeno per queste domande. È qualcosa di diverso quello che io sento: manca una persona che veda le cose con me, con prospettive simili. Non uguali, simili: e io ho voglie di cose assolute e radicali. non grigie, non a metà, non qui…
Prendi e agisci: ma dove sono tutte queste occasioni? Non le vedo proprio. Vedo troppe cose uguali, troppa abitudine, vecchie idee dure a morire. Anche troppa paura di stare da soli. Cavarsela da soli – dico essere mentalmente abituati a non appoggiarsi a qualcuno – non è sempre facile. Ve lo concedo. Ma vorrei gridare ai protagonisti di queste storie di non-amore che vedo per le mie strade: «ehi voi, guardate che è possibile, ci si può reinventare anche da soli!». Ma non siamo abituati. Fosse per me, viaggerei anche da solo, o in due.. Mi riscopro sempre più solitario – non solo, non opportunista – e vorrei gridare a un po’ di persone che non è male, né sbagliato.

Mi piacciono le sfumature nuove che si danno alle persone, quelle già conosciute un tempo. Non credo nei «migliori amici», nelle «esperienze che fanno crescere», nel «conoscendoti, questo libro potrebbe piacerti». Credo negli interessi comuni, nelle visioni comuni, nelle scenografie comuni. Nella cosa che è giusta in quel momento lì, senza un senso. Penso quindi che se le persone stanno bene insieme, debbano vivere in Comune. Credo gran poco a questa Laurea, a cui tanto ho lavorato e sulla quale si berrà su un giorno, forse due. Per poi tornare a guardarsi fra di noi con le stesse facce, le stesse idee, le stesse battute troppo volgari. Non sono pronto al compromesso al ribasso. Questo, quello, quest’altro.. E poi te, te, te..

Un vicentino per il mondo è un titolo bellissimo, lo guardo stagliarsi nel frontespizio carattere calibri, fiero come il mio sguardo: e provo una grande angoscia, forse invidia. Chi mi porta via con sé? Nessun ripensamento: nemmeno se mi rituffo in quei due o tre punti di paesaggio assoluto che per me sono idee. 

lunedì 28 luglio 2014

Dai Berici verso Costozza



Una di quelle conversazioni in passeggiata che dicono molto; molto più di quello che credevo e che soltanto intuivo. Mi rimbombano nella testa le parole e le idee di quel momento, che mi interessavano ben oltre l’argomento, ben oltre la circostanza del momento, ben  oltre quel mio essere in totale disaccordo. Ma in fondo: mai lasciarsi coinvolgere troppo da questa città, dalle sue piccole beghe stagnanti: un insegnamento che ho bene imparato, perché ciclicamente dimostra la sua esattezza. Salendo per un sentiero improbabile, della quale direzione espressamente non mi curavo, ho potuto respirare, anche se per poche curve, la durezza di confrontarsi con prospettive inconciliabili: sulle radici, sull’amore, sul viaggio, tutti temi che ossessivamente osservo, studio, catalogo. Che non mi lasciano sereno. Alcune di queste tensioni le sento esplodermi dentro, reali come il grande muro di una vecchia ghiacciaia, oggi caratteristica osteria, che separa – inconsciamente – vicentini bianchi e vicentini rossi.  Zac, patapum.  Sento già il giudizio di morbosità arrivare da ogni dove e da ogni sguardo, anche da persone vicine. Di questo io non mi curo. Ma per me questa barriera, questa insoddisfazione, questa potenzialità mai in atto, è più vera del vero, e anche oggi emergeva, passeggiando in un paesaggio che è scenografia, teatro meraviglioso, anche se rovinato dai soldi di chissà chi.

Allora non credo troverò mai la giusta dimensione, qui. Ancora la sto cercando, ancora non la trovo. Mi ostino a vedere cose che non ci sono, cercando compromessi impossibili, perché, evidentemente, inattuabili fra persone e paesaggi che non vogliono trovarsi perché non lo ritengono né mai lo riterranno possibile. Si tratta dell’essere innamorati in senso lato, certo, un atteggiamento che per me significa tante cose allo stesso momento. I Berici sono i Berici, e stop. E stop. Contenti i genitori? I parenti? Gli amici? Questo è quello che so del mio futuro, della mia laurea , della mia tesi. Ho un sacco di progetti, vedrete. Di cosa sto parlando? Bè vedi, se resti invischiato a leggerti in certi paesaggi, come quelli di questa passeggiata, non esci più. In una città chimerica e teatrale come questa puoi solo essere un certo tipo di persona e poc’altro. Il bene, è quella pieve benedettina dell’XI secolo. Il male, quello che vengo di scrivere.


Devo, forse, imparare a rinunciare davvero. Oggi, rimpiango una piccola serie di cose, ma col sorriso tra i denti, beninteso. Rimpiango di non aver visto un poco oltre questi Colli finché esisteva la possibilità concreta di farlo. Ma in fondo, siamo quello che siamo, siamo la nostra educazione. Così tante idee ho cambiato,  per fortuna… Cannocchiali rovesciati che conservo con cura dentro di me, che altri lo vogliano vedere o meno. Li amo così tanto questi scorci che mi sento soffocare, ma perché? Sono problemi in fondo così piccoli, insignificanti da risolvere... Forse, è che vorrei tanto una tartina a quel gusto, a quell’orario, con chi dico io, per elencarli solo, questi problemi di prospettiva, queste lagne da piccolo vicentino. Qualcuno che rida a una battuta stupida e solo lievemente volgare, che veda queste ville seicentesche con, dal, mio stesso cannocchiale.



Né rosso, né bianco, Vicenza. Qualche sfumatura di arancione, come quella che abbiamo trovato oggi ad Arcugnano, sarebbe perfetta.

domenica 29 giugno 2014

la giusta distanza


Mi svegliai che il sole si faceva rosso; e quello fu l'unico, chiaro momento della mia vita, il momento più strano di tutti, in cui non seppi chi ero... mi trovavo lontano da casa, stralunato e stanco del viaggio, in una misera camera d'albergo che non avevo mai vista, ... e guardavo l'alto soffitto pieno di crepe e davvero non seppi chi ero per circa quindici strani secondi. Non avevo paura; ero solo qualcun altro, un estraneo, e tutta la mia vita era una vita stregata, la vita di un fantasma. Mi trovavo a metà strada attraverso l'America, alla linea divisoria fra l'Est della mia giovinezza e l'Ovest del mio futuro, ed è forse per questo che ciò accade proprio lì e in quel momento, in quello strano pomeriggio rosso


(Kerouac 1967, p. 49)

giovedì 5 giugno 2014

C'est vite fait


È stato un maggio silenzioso perché troppo veloce: troppi progetti, lavori, patate in pentola. È stato soprattutto un maggio non solo mio: ma condiviso, comunitario, esagerato dentro i giusti limiti. Bisogna cominciare a dare sostanza, peso e forma alle idee sennò qui  ne saltano altri, di mesi, e sarebbe un gran peccato, perché il sole dura di più e lo si sente proprio.

Per il momento sappiamo che è sufficiente un breve periodo appena fuori città, fra la campagna e il grande centro abitato. È un progetto rivoluzionario, anche se ovviamente «a suo modo»: nasce dall'idea che non ci sia il tempo necessario per essere amici e cittadini di un certo livello. Viaggiare e andare lontano è certamente un’occasione, ma spesso è in-sufficiente. Occorre scegliere un gruppo di persone fidate - ma che non passa insieme del tempo di qualità - e inserirle in un palcoscenico silenzioso e fiorito come quello dei Colli Berici.

Lo scopo principale è conoscersi fisicamente. C’è questa idea di sistemare la terra e il giardino, ma è tutto da valutare in base alle reali capacità dei ragazzi de La Comune, per quanto volenterosi . Il concetto è semplice: piccoli servizi secondo le proprie possibilità. Sporcarsi e sudare sotto il sole, tornare abbronzati la sera, preparare la cena. Il momento della cena è l’unico davvero importante, ognuno contribuisce al pasto apportando qualcosa di personale, o almeno di significativo, di sentito. Il pasto nella Comune è l’unico momento che richiede la presenza obbligatoria di tutti: dalla preparazione, alla portata in tavola, al caffè.

È un occasione per sperimentarsi come cittadini di confine: non coltivatori, non eremiti, non sciocchi. Il gruppo di persone affronta questa strana tranquillità insieme e così si stabilisce nella casa: tranquilli, sereni. Di giorno si lavora, si studia, si parte per un’escursione nel territorio della provincia. La sera, all’orario dell’aperitivo, qualsiasi visita è gradita e apprezzata. Fuori dalla cucina qualche candela non scaccia né mosche né zanzare, ma illumina a sufficienza le facce di ognuno. Si eccede nell’alcool e si fanno - a volte – molti discorsi, anche seri. Ovviamente La Comune ha un «suo» chiaro indirizzo politico: una bandiera rossa che si rifà direttamente alla grandiosa avventura parigina del 1871.



Quelli della Comune sono certamente dei vicentini, dei sognatori e degli idealisti.

venerdì 18 aprile 2014

Fimon è un luogo solitario


Entro davvero in profondità, sudo le pagine uscendone con gli occhi rossi alla sera, ed è lì che sento scivolare via quel poco di francese che c’è in me. Non capisco se sia reale o meno, scienza o bugia, sarà che lo sforzo di legare incastrare incollare le parole dell’italiano occupa tutti i miei pensieri – che non sono né complicati né numerosi; procedono lentamente, uno ad uno… un passo alla volta – cosicché les mots justes si perdono nel parlato, balbetto: blablabla. Almeno il sujet, quello sì, resta sempre d’oltralpe. Madame la France sei proprio gentile ad aspettarmi per tutto il tempo necessario. Ma non lo voglio,  nossignora!

Questo lavoro è sforzo che cattura. Non che si ottengano grandi risultati, soprattutto per studentelli modesti come me. Difatti mai penso al «risultato»: solo a questa fatica che mi piace, questa idea del «lavorare» che fa sorridere perché ci sono di mezzo le parole (le mie). Possono dare soddisfazione? Lo credo, perché sono mie, e sebbene molto modeste, le scelgo - come i fiori da piantare in un orto, che io non ho mai avuto, ma chi lo sa fra qualche mese…– le sbaglio, le cambio, eccetera. Ogni pagina è una martellata sulla roccia che giudico tristemente inutile; qui vicino insistono a scavare buchi nelle montagne chiamandole «gallerie», anch'io a volte ho l’impressione di picchiare duro per niente. Vado avanti come un mulo che almeno “si dirige” a finire qualcosa. È questo un pensiero che mi piace, che mi fa stare bene.


È un lavoro che faccio da solo, e non è un male restare da soli, anche se davanti alle lettere da scegliere e poi digitare non c’è nessuno che possa o voglia dirti «che bravo che sei per quello che fai». Peggio per loro, meglio per noi! C’è solo una persona che controlla, che giudica e ti fa ricominciare da capo pagine che sono ore, giorni di lavoro.Mentre penso alla parola giusta per continuare il discorso, mi sfiorano milioni  trilioni vagonate di pensieri. Uno è quello che mi spinge a scrivere queste righe, l’impressione che le cose francesi siano al giro di boa, che si cominci, piano, lentamente, a virare verso casa. Ma è ancora tutto così distante e vago, non riesco e non voglio decidermi, alla fine è giusto un pensiero fra una riga e l’altra. Ci sguazzo, dentro a queste impressioni, mi fanno sentire grande, un ottimo vicentino. 









È decisamente una Buona Pasqua

mercoledì 5 marzo 2014

D'amore


Lui risponde confuso per l’alcool e per l’imbarazzo che no, non è serata, non è momento. Mente: non lo è mai, crede che non lo sarà mai. È un tasto troppo delicato a cui dare suono, voce. È un tasto solo suo e molto ben nascosto, anche a lui. Nascosto bene perché ne è geloso, perché ne ha paura. Perché è tutto. Perché È. Alcune cose sono solo sue, cose tout à fait evidenti: lui è un ragazzo timido, lui ha paura ( - ma come tutti). 
È soprattutto troppo idealista: lo dice al bar, pensandolo veramente. 
Lo dice in francese, la migliore conversazione da lungo tempo.

Questa è una sera di inverno che suona di nuovo ed è colorata –tutta– di estate. Lucia scrive solo: «luna», non aggiunge altro. È uno spicchio sorridente infatti, se la ride, del tutto identica a una bocca. Insieme a L e a tutte le persone migliori della sua vita, lui sale fino in cima al Monte Berico. È caldo, è una bella serata, dove potere star bene e profumarsi di cose positive, nonostante le ceneri, la chiesa, le parole. Alcune facce sono proprio nuove, nuove e bellissime. Gli sembra di conoscerle da una vita, come quelle con cui è salito. C’è elettricità un po’ dappertutto, tra fazzoletti di colori diversi. È l’immagine di ogni suo film –quella più bella. Vorrebbe restare in quella basilica sempre e guardare e riguardare.

Ogni altra cosa è pallida e lontana imitazione, non ne vuole sapere. Vuole quello, vuole quel momento lì, quello e non altra felicità, non altra persona. Non può avere successo nella realtà. Lo sa bene, ma ancora aspetta lei. Non scappa, non si compatisce, non pretende: le immagini che osserva nella basilica sono molto reali,  quasi reali quanto la bellezza di lei, che pure rivede di lì a poco.
Eccola! È lei, bellissima. È bella, bella de toute facon: 
il ragazzo non può innamorarsi. Come può si chiede sempre.
Lo è già…



Luna.

lunedì 24 febbraio 2014

soleil di metà febbraio

Lo definirei un misto di curiosità e ottimismo,
 colori come al solito pigri e dormicchioni.
 Sanno di arancione e giallo di giorno e la sera di rosa,
 ovvero: felicità.
Finiscono gli esami, proprio tutti, per davvero.
 Tutto passa liscio, fin troppo,
come con le cose importanti:  non ci si pensa mai troppo,
(o mai abbastanza?)… succede. e basta.    
Ci si impone viaggi sul mare: côté française, 
côté lagunare..

Progetto i viaggi, vado in viaggio, e poi – cosa buffa-
Torno, e li studio - i viaggi..


Continuo questo gioco che si gioca da soli,
mi trovo justement dentro a grandi libri e a storie impossibili:
 manca solo un cappello da navigatore, alla Corto Maltese (?-eheh),
intanto ho una colonna sonora! Accompagna le mie gesta.

Scelgo bella musica,
 sento di poter essere inesorabile,
di avere sempre ragione,
 e senza farlo pesare.
 (viaggiare dovrebbe essere sempre un atto di umiltà,
-scrive Guido)

Vado dove si sta bene: Venezia, il sole, magari un vecchio liceo, la  Camargue.
Lì sì c’è profumo di posti belli e una tivvù sempre accesa dove guardarsi protagonista, dove si vince e poi si scappa, perché –ovviamente- la malinconia rende più saporita la minestra.
           
  
 

Qualcuno poi mi dovrà spiegare: 

chi l'ha rubato l’inverno? 

venerdì 10 gennaio 2014

Vacanze di Natale


Solo ora, in ritardo come sempre, capisco che l’amore eccessivo per le proprie cose non è affatto un bene. C’è troppo al di là di questa nostra città, che ama così tanto specchiarsi in se stessa, per fermarsi sul più bello, cioè qui, a Vicenza. La sicurezza e la tranquillità sono sensazioni pericolose, negative, comportano emozioni bugiarde, finte certezze che ti cullano sì, ma che ti drogano, fino a trovarti impreparato.

Non ho più voluto trovarmi impreparato. Conosco Vicenza, conosco la tranquillità.
La Biblioteca conserva i libri della mia tesi dentro sale antiche coi pavimenti in legno che i segretari chiamano «riservate», dove rivedo tutta la bellezza di poter studiare i libri: parole di gente più brava di me che non mi sogno nemmeno di eguagliare, o di superare.  

Vicenza impone due stati mentali ben precisi, antitetici, incongiungibili. Non è una città che permette di mediare fra due modi di essere. C’è la vicentinità DOC, occlusiva, inconscia, che riproduce le stesse dinamiche, eternamente, fra le stesse persone, nelle stesse situazioni, nei soliti posti. E c’è la vicentinità di chi è fuori Vicenza, non solo fisicamente: altrettanto affezionata alla città e alle sue storie, ma che ormai ha visto troppo, o crede di averlo fatto; questi occhi guardano Vicenza e la loro testa osserva la città pensando a situazioni altre; casa loro è un passaggio che merita un gran sorriso, una sosta per riordinare le idee.  

Io oscillo, sogno che vicentini bianchi e vicentini rossi possano parlare la stessa lingua, ma non è questo il tempo, giustamente. Allora mi limito ad osservare questo ed altro, mi diverto molto, perché lo spriz, i lampioni rossi e la bellezza del Palladio uniscono tutti e cancellano queste sciocche riflessioni.



Mi emoziona Piazza delle Erbe sotto Natale, perché tutti noi vicentini siamo molto belli e felici in quei momenti lì, e stop. Lì sì, siamo molto uguali. Ma finisce anche lo spriz, finiscono le vacanze e gli esami, il Cancelletto chiude e la piazza si svuota di questi e di altri tipi di vicentini. E io mi sento più solo.