martedì 7 giugno 2016

La grandine


Domani vado a un concerto, come succede spesso ultimamente. Che sono fortunato - e di certo abbastanza sprovveduto - l'ho sempre saputo. In questi giorni piovosi di giugno mi sento addosso "guarda che io ho altro fare", "dove lo trovi, questo tempo". Sono vocine nella mia testa, forse immaginate in bocca a chi ho allontanato, o a chi vorrei avvicinare. 
Nel frattempo ho imparato una cosa, sulla grandine, che trovo davvero forte: 


Qui, tra le case e i grattacieli, non c'è alcun motivo che quell'atmosfera d'estivo idillio muti se al diluviare incomposto succede, sibilante e rovinosa, la grandine. 
S'infrange sul selciato diffondendo intorno un misterioso odore di zolfo, arriva a ondate sempre più violente, dirada un momento e subito riprende a tambureggiare con scrosci rabbiosi. Risuona nettissimo nel turbinio lo schianto d'un vetro, la strada imbrattata di scie sinistre è già livida e scivolosa: stasera i gerani del davanzale saranno ammaccati e sconvolti e bisognerà spazzare la terrazza coperta di foglie. 
Per il cittadino la grandinata si esaurisce così nella piccola cronaca di una giornata come tutte le altre: ignoto è ai suoi sensi il rapporto angoscioso che passa tra l'ira del cielo e il pane degli uomini. A folgore et tempestate, invoca la preghiera antica, ma egli ha del flagello un'idea letteraria e vaga, come sono i pericoli del mare per chi si tiene fermo a terra. Solo al campagnolo inurbato che gli sta accanto, portato dalla sorte sotto lo stesso tetto e lo stesso ospitale portone, la prima bianca sassata che si sfarina sul selciato rimescola il sangue e mette il gelo nel cuore. Non ha terre da sorvegliare, non ha raccolti da cui spettare una rendita: il campo paterno è troppo lontano perché debba soffrire di questa furia che batte le bianche terrazze e i lucernai della città. Ma è ancora vigile e dolorosa nel suo sangue l'esperienza di generazioni che hanno arato e seminato, e temuto e sperato e patito per il raccolto; lontana e dolce c'è ancora nel suo cuore l'eco delle invocazioni sentite cantare tra il verde tenero dei campi al tempo delle rogazioni; 
nel suo ricordo c'è ancora l'immagine delle messi devastate e della madre che porta le fronde d'ulivo benedette ad ardere sulla soglia della casa perchè il cielo si plachi.



pagine 18-19

mercoledì 1 giugno 2016

la paura degli esseri umani


2 occhi e 100 sguardi per vedere dove metti i piedi
inciampo sulla mia incertezza e corro dritto fino al limite
sentirsi come una bugia sul punto di essere rivelata
e forse è già domani!
Palazzo San Giacomo [rainy day]

Si vivesse solo di inizi (e di citazioni), avrei vita facile!
Niccolò Fabi canta: vince chi molla. Allora io lo seguo a ruota, le piccolecose piacciono a me e piacciono alle persone che piacciono a me. "Mollare": io lo intendo come cambiare. 
Comincio da quello che non ho mollato mai, e mi costa fatica, cambiare, mollare, ma è giusto.
[scelta difficile] [scelta giusta] [allontanarsi è conoscersi]




quanto sei bella