venerdì 24 aprile 2020

Lassù ci siamo sentiti veramente liberi

Piccoli maestri: un libro da leggere, studiare, rileggere. Un capolavoro dell’antiretorica, un unicum nella letteratura della Resistenza.  Fa tenerezza ed è bello immedesimarsi nelle paure di questa piccola banda di studenti vicentini, nella difficile scelta di non arruolarsi per la Repubblica di Salò. Per questi ragazzi andare in montagna significa emanciparsi da un processo di “diseducazione”, partecipare alla Resistenza è «il culmine della nostra scuola». 


L’esperienza della guerra civile è l'educazione di una generazione: un gruppo di giovani universitari vicentini, espressione di un’Italia “normalizzata” dall’indottrinamento fascista. 
Una “scuola”: composta da compagni di università e di vita uniti da un legame di natura “educativa”, politica. Una comunità auto-educante con tanti maestri, uno su tutti, Antonio Giuriolo. 
La Resistenza è un’avventura individuale e insieme di gruppo, una storia di redenzione personale. Gigi parla di un gruppo di “banditi” - «Just a fucking bandit», rispondendo all’ufficiale americano che gli chiede, in conclusione al libro, «you a poet?». Un viaggio che Meneghello conduce con i suoi tipici strumenti espressivi: l’ironia, lo scherzo, la demitizzazione delle “grandi cose”.

In questo piccolo passaggio si percepisce qualcosa di questa “pedagogia rovesciata”, dove i giovani sono chiamati dalla circostanze della storia a insegnare a se stessi, a ri-educarsi, anche a costo di continui incidenti e fallimenti e senza sapere bene dove andare. "L'unica cosa che poteva orientarci, in mezzo al Paese crollato, era quello che faceva di noi un gruppo". 



L’incontro (avvenuto in Altopiano) con il mondo “di periferia” è associato con la scoperta dei paesaggi magnifici delle montagne vicentine («il paesaggio più bello che conosco»). Sono fra le pagine più belle del libro, immagini indelebili nella formazione e nella memoria dello scrittore. La riscoperta di questo angolo del Veneto offre ai ragazzi la serenità necessaria per riflettere su sé stessi, ripensare a chi diventare e all’Italia che si voleva costruire. “Siamo sopra l’Italia!” - dice Gigi: in questo ambiente le truppe tedesche e fasciste hanno più difficoltà a convogliare la propria potenza militare. Per molti di loro significherà comunque la morte. 


Nelle montagne, un ambiente apparentemente ostile, avviene una fusione con il mondo esterno, una metamorfosi delle categorie di pensiero, di cui parla Gigi in questo capitolo. I “teatri” e i suoni della montagna scandiscono le giornate dei giovani studenti venuti dalla città: “quando cantava il cuculo – perché in Altopiano cantano in maggio – noi non eravamo spettatori, turisti. Noi abitavamo lì nello stesso bosco, erano cose vere e non spettacoli, ora che eravamo della stessa parrocchia anche noi”.





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