sabato 23 novembre 2019

Occupare lo spazio

Questi giorni sto guardando con tanto interesse le piazze reali e virtuali delle Sardine. 
Sarà la grande ammirazione che provo verso le situazioni spontanee e casuali (4 ragazzi generano un evento sentito e importante col il solo passaparola) – che collego sempre allo “strapotere delle cose che nascono dal basso” di cui racconta con il cuore, prima che con la testa, Meneghello.

Ma lo sguardo è anche “forzato”: vincolato al grande successo sui social network, che non denigro davvero. È uno spazio oggi incredibilmente reale, decisivo, un “eterno presente uniforme”. Io ci sono dentro totalmente. Tanti amici questi giorni mi chiedono di aderire alla pagina “Sardine” di Vicenza: persone che stimo, intelligenti e impegnate, con un percorso più lungo del mio. 
Provo emozioni contrastanti, ma se devo confessare quella che prevale, l’inquietudine.
Ora il rischio fortissimo è di sovrapporre nei giudizi la mia esperienza personale: indicare un modello giusto e vincente. Lo snob.

Io ho speranza nei giovani. Sono fermamente convinto che un rinnovamento della politica e della sua classe dirigente debba passare per i giovani. Non per uno stupido concetto di rottamazione, di superiorità legata al numero di lauree o master, ma per lo spazio che viene assunto dalle energie nuove e fresche nei luoghi dell’amministrazione: nullo. Una società sana, dalla politica al mondo del lavoro, dall'imprenditoria al sociale, vedrebbe lavorare fianco a fianco l’esperto e il nuovo arrivato, uomo e donna, esperienza e idee. Questo spazio esiste ma viene riempito dal mandato terzo, o zero, dalle liste bloccate, dai target elettorali. 

Ora è giusto che i trentenni prendano in mano questa situazione in modo laico e dal basso. 
È evidente che quella piazza sia legata a una sinistra che è stata a guardare per vent’anni Berlusconi e poi Salvini, fino alla perdita di ogni identità persino in quelle città e in quelle regioni dove questa è vissuta con armonia, consapevolezza. 

È chiaro che quella piazza sia incompatibile con circoli di partito respingenti, messaggi vecchi e convegni retorici sulla “ricerca della leadership”, eccetera. Sigle vuote.
Ed è ovvio che nelle Sardine sia presente il risentimento di una generazione che non ha mai provato soddisfazione e orgoglio di appartenenza, mai posta al centro del dibattito pubblico, ragazzi che “non conoscono Berlinguer ma lo rimpiangono”. Questi sentimenti molto reali dovranno pur finire da qualche parte. 

Per la mia generazione una sorta di “formazione politica” è coincisa con il movimento nato intorno al Dal Molin. Umberto mi scrive che i trentenni della sua generazione, invece, si erano formati intorno a Genova 2001. Andando a ritroso nel tempo: l’impegno studentesco, ambientalista, antifascista, hanno forgiato generazioni di trentenni. Ora cosa c’è per loro di fronte all’avanzata del populismo, che peraltro vede e emergere al suo interno anche figure di giovani, in una destra che è stata sempre pienamente rappresentata dai suoi portavoce?

Per loro il nulla. Se esistesse una sinistra in questo Paese si sarebbe ascoltato ben prima di Bologna i segnali di questa generazione:ben formata, che lascia l’Italia in numero molto più numeroso degli stranieri che arrivano. Un assessore di Firenze l’altra sera mi ha detto: fare politica è provare a cambiare le cose, farlo da sinistra vuol dire partire dagli ultimi e dai penultimi. Non sono forse oggi dei penultimi, i ragazzi di questa generazione?

Certo è che non possiamo permetterci di essere ancora una volta fragili e virtuali, un Manifesto retorico e troppo vuoto, un piccolo spazio mediatico e già visto.

Giovanni spiegava bene l’altra sera che siamo ben oltre la fase della sfiducia e del disincanto, ora ci troviamo nella condizione dell’odio, del risentimento e dell’astio. 
La politica rappresentativa è nemica, quella reale si è spostata nei luoghi dove mettere a frutto i propri talenti: dentro le associazioni, lavorando con i portatori di handicap, con gli ultimissimi: profughi, barboni, orfani, nelle scelte di lavoro e di vita eticamente importanti. Quel mondo della società civile che non arresterà il populismo solo con il proprio esempio.
Esiste forse un’alternativa alla democrazia parlamentare e rappresentativa per incidere massivamente sulla vita delle persone? Quando sento dire che la nuova politica abbandonerà del tutto la rappresentanza e i partiti mi spavento, perché “l’antipolitica - anche progressista - è il brodo di cottura di qualsiasi totalitarismo”. 

Come verranno gestite le frizioni interne che arriveranno dopo la piazza, quando ci sarà bisogno di qualcosa di pratico che non sia il numero di adesioni? La vera sfida che attende le Sardine è lavorare nel, con il Palazzo, in un contesto dove siamo estranei e minoranza.  Questa, fra l’altro, è la parte più difficile ma anche più bella del mio incarico da consigliere comunale. Si vuole un cambiamento nella politica. 



Cito quanto scrive Cosimo perché io vedo luce in quello spazio vuoto. “L'unico modo per la sinistra di recuperare e sconfiggere il Salvini di turno è di tornare a lottare per gli investimenti pubblici, nuovi piani industriali, per esempio la riconversione ambientale dell'economia che crei centinaia di migliaia di posti di lavoro, politiche per sradicare la povertà e la precarietà, ricostruire un sistema sanitario e di istruzione veramente gratuito; soprattutto crederci, tenere la barra dritta, non per forza se va male un'elezione é tutto da buttare”.

Il compito di partiti e politici - mi ci metto dentro - è di spingere per una rotta in cui nuotano le Sardine, nel frattempo avventurandosi in mari dove si muovono altri branchi di pesci con cui, in questi anni, si hanno perso i contatti: come il mondo della scuola, della ricerca e del pubblico impiego, dove il precariato soffoca e il merito è costantemente tradito.
L’augurio che mi faccio come Sardina, alle Sardine: di andare a occupare non solo le piazze ma anche i seggi, il tempo, gli spazi e le caselle mail dei nostri rappresentanti, in prima persona e con le idee.

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