martedì 25 aprile 2017

Dentro il bosco

Eravamo scesi in una galleria a prendere l’acqua e ora, seduti nel bosco dopo esserci dissetati, fumavano in pace un’alfa. 
Non c’è niente di meglio, per me , che sedere nel bosco con la schiena appoggiata a un grosso tronco e fumare guardando il cielo tra i rami degli alberi. Fumare e fantasticare guardando il cielo tra i rami degli alberi. La giornata era stata troppo calda e secca; il cane non aveva sentito alcun odore e la selvaggina, ingozzata di pastura, non si era mossa:faceva la siesta accovacciata tra i cespugli di ginepro.  Allora parlammo dell’amministrazione comunale e delle elezioni, degli emigranti lontani e di politica, dei lavori dei boschi e dei cantieri di lavoro e di altre cose che accadono quassù in montagna. Il tempo scorreva così. Non si aveva più voglia di camminare; si era stanchi, oramai. Eravamo in marcia dalle quattro della mattina senza avere sparato un colpo di fucile; né a un gallo, né a un francolino. Niente, giornata bianca.  Il discorso languì. Accendemmo un’altra sigaretta.  Lui guardò nel bosco e cominciò :  « È stato qui, proprio in questo posto che i fascisti uccisero quel povero Cristiano. Tu non c’eri allora. »  « Ero internato in Prussia. Come fu? » « Era l’autunno; mi pare fosse stato di novembre, una giornata nebbiosa.



Cristiano era quassù a fare legna. I briganti neri vennero dal paese in colonna, salirono di lì » e mi indicava con la mano, tra le radure del bosco la strada che avevano fatto, « presero a metà costa e vennero così di traverso. Lui stava qui, dove siamo noi. Ecco, proprio lì sotto quell’abete e stava riducendo un grosso ceppo. Batteva le scure con allegria. Te lo ricordì come era gagliardo? Si sparpagliarono per il bosco e vennero a rastrello. Bene, quando uno dei loro sentì battere le scure nelle nebbia si avvicinò come un ladro e mentre Cristiano si rizzava in alto, a braccia tese per prendere slancio, gli sparo una fucilata nel ventre. 
Quel vigliacco di fascista, gli sparò cosi da vigliacco. 
Subito gridò, e lo sentii anch'io che ero nel prato qui sotto con le vacche, gridò: «Signor tenente ci sono i partigiani! Ne ho ammazzato uno, venite! »

Lasciai allora le bestie alla mia vecchia e corsi su con alcune donne della contrada che avevano udito la fucilata. Il tenente e gli altri erano già qui. Cristiano stava sdraiato sul dorso e ancora teneva in mano la scure, pallido e sbiancato come la neve per il sangue che gli fuggiva dalle vene. Gli gridava il tenente. « Dove hai il fucile? Dove sono i tuoi compagni? Parla che ti ammazzo ». E gli puntava la pistola sul viso. Cristiano con un filo di voce gli rispondeva : «Eccola la mia arma », e accennava con lo sguardo alla scure. « Cosa vuole ammazzare? Non vedete vigliacci che mi avete già ammazzato? » 
Vidi con questi miei occhi il tenente che gli puntava la pistola sulla fronte e gli urlava parla che ti ammazzo e sentii lui che rispondeva che già l’avevano fatto e che i partigiani non c’erano. 
Ed era la verità. 
Nessuno di noi era ancora partigiano. A quel tempo badavamo ai fatti nostri e ne avevamo già abbastanza. Portavamo solo da mangiare a sette inglesi che erano fuggiti da un campo di concentramento e che avevamo nascosti in una galleria della vecchia guerra qua sul monte. 
Quando Cristiano si accorse che eravamo arrivati ci sorrise. Sua sorella, che era salita con noi, si mise a urlare e a piangere. 


Voleva cavare gli occhi al tenente. 


Forse i fascisti si accorsero di aver fatto una gran bestialità perchè quando dissi che ci voleva subito un medico il tenente mandò giù in paese a cercarlo. Mi misi a bestemmiare e a imprecare contro di loro perchè vedevo che non c’era niente da fare, ma solo aspettare che finisse di morire. Pure con la scure ancora bagnata e calda di sangue, tagliai due grossi rami per fare una barella, prechè almeno morisse nel suo letto. Lì, da qull’albero tagliai i rami. Li vedi i nodi? E io davanti e due donne dietro scendemmo per la mulattiera. Loro ci seguivano con il fucile in spalla. 
Giunti a casa arriva anche il dottore. Lo guarda e non dice una parola. Era medico condotto, quello che aveva fatto l’alpino con i nostri vecchi e s’era fermato qui per sempre e conosceva tutti uno per uno, anche i bambini e anche quelli che erano andati all’estero. Era ateo lui e fumava toscani, con la bicicletta andava come un pazzo. Te lo ricordi? Bene, lo guarda e non dice niente, solo prende il tenente per il petto e lo tira fuori della cucina. Era uno sbarbatello di tenente, scuotendolo come una scopa lo prende per il petto e gli sputa sul muso senza aggiungere niente.

Quando rientrò, cristiano aveva finito di morire. S'erano radunati gli uomini e le donne della contrada. Stavamo tutti zitti davanti a sua madre. Anche sua madre.   Da quel momento diventammo tutti partigiani. Anche i vecchi e i bambini. Anche le donne. Ci ritirammo sulla montagna con i fucili da caccìa e più tardi avemmo mitra e dinamite. Le donne portavano da mangiare e tabacco. Le brigate nere incominciarono ad avere la vita dura. Vennero anche i lanci degli inglesi e vennero anche i tedeschi… » 

La sigaretta era finita, una fila di formiche mi rasentava la scarpa. Non parlammo più sino a casa sua. Mi invitò in cucina a bere un bicchiere di vino. Sopra la credenza c’era un immagine listata a nero. Era Cristiano : nato il 14-12-1925, morto per causa dei fascisti il 17-11-1943 – la mamma e la sorella – a ricordo per gli amici. 


Mario Rigoni Stern, Dentro il bosco, novembre 1957





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