domenica 4 dicembre 2022

Rallentare


Un lungo, caldo e siccitoso autunno ci ha trascinati nell’inverno senza che potessimo godere appieno di questa stagione di ripartenza. Sono tornati gli alunni in classe riadattandosi alla quasi imprevista normalità prima del Covid. Mi siedo di frequente accanto a loro, fra i banchi, li osservo da vicino. 
Vedo la curiosità, il sanissimo timore del “nuovo” e le "prime" che si approcciano a un mondo più adulto. Mentre fra i più grandi c’è ancora chi si aggrappa alla modalità “on demand” di cui si poteva usufruire attraverso una lezione in videocamera, ma è forte anche la voglia di vedersi adulti, di viaggiare, di sentirsi riconosciuti e di valore, cercare una propria identità. 
È fatica tornare ad orari più lunghi, argomenti più complessi, sperimentare l’autonomia. 
Però la possibilità di vedersi, toccarsi, riunirsi in assemblea con altre classi, osservare i volti, per ora certifica un graduale e fragile ritorno alla “presenza” che non tutti sono pronti ad affrontare. Qualcuno resta indietro.


Ci ritroviamo di colpo immersi nella luci di Natale, che personalmente mi disorientano sempre, all'inizio. Poi la cascata di luci dalla Torre Bissara mi fa sentire a casa, coccolato.
Le elezioni politiche dello scorso settembre hanno portato tanti nuovi ragazzi e ragazze al voto alla Camera e al Senato. Alcuni li ho incontrati. Ambiente, identità sessuale, diritti, scuola e università, formazione, lavoro, indipendenza domestica e vita familiare, sono temi prioritari sacrificati in un dibattito sulle persone o in battaglie di posizionamento ideologico incomprensibili ai più. 

La guerra lacerante ci divide per come dobbiamo “fare pace”. Gli strascichi del Covid e delle scelte della sfida pandemica creano ancora barriere, la crisi economica ed energetica ci tocca da vicino. In questo clima le forze politiche di centrodestra sono state scelte, in modo netto, per guidare il Paese. 
La mia parte politica deve cogliere questo tempo per intervenire in maniera credibile nelle forme nobili di “minoranza” che può esercitare, senza “piangersi addosso”, facendo sintesi per il futuro e capendo che una grande parte non partecipa, non “si riconosce”, si attiva in altri modi e luoghi. Anche questa è fatica, ma il "tempo" c'è. 5 anni.  

Questa calda poesia che giovani mani hanno scritto ieri sui muri di Citycampus, “nuovo” futuro contenitore della città, mi ha fatto stare bene. 

Abbiamo bisogno di contadini,
di poeti, gente che sa fare il pane,
che ama gli alberi e riconosce il vento.
Più che l’anno della crescita,
ci vorrebbe l’anno dell’attenzione.
Attenzione a chi cade, al sole che nasce
e che muore, ai ragazzi che crescono,
attenzione anche a un semplice lampione,
a un muro scrostato.
Oggi essere rivoluzionari significa togliere
più che aggiungere, rallentare più che accelerare,
significa dare valore al silenzio, alla luce,
alla fragilità, alla dolcezza.
F. Arminio


“Rallentare più che accelerare”: da questo autunno sono tornato alle strada che più mi mette "i piedi per terra”, 14 sconosciuti mi fanno sentire “vecchio” e “giovane” allo stesso tempo. Del loro modo di intendere la vita, l’impegno scolastico, lo scoutismo, la politica, la musica, so pochissimo, e questo mi piace da morire. Nessun profumo vale l’odore di quel fuoco, fuori dalla mia “bolla”. Continuo ad aver bisogno di silenzio e di ricerca, e ovviamente dei miei luoghi vicentini, delle mie persone, la mia comfort zone. 

"Queste case non mi parevano edifici, ma modi di vivere; le corti tra i castani, e le viottole, e le stalle, e i sottoportici, tutto era mescolato con la povertà, era questa la forma della valle e della vita italiana. Dissi a Bene: ‘Per uccidere la povertà, dovranno massacrare l’Italia’". 

(Meneghello, PM, Rizzoli, 1964, pp.203-04)





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