venerdì 13 ottobre 2017

L'astensione, Athos, il Veneto


Mi fa soffrire l’idea di boicottare uno strumento così bello e importante come il Referendum. Qualsiasi passo, piccolo o grande che sia, che serva a portare i cittadini a riflettere e a confrontarsi, è una cosa alta “di default”: esercizio di democrazia. Per questa ragione, non condivido granché la polemica sullo spreco dei (senz’altro) tanti milioni che servono a organizzare il referendum: ogni volta che si interpellano i cittadini per indagare le loro opinioni, conoscere i loro sogni, la loro vita, non vengono sprecate risorse. Che siano le trivelle o la gestione di una città o di una Regione: la democrazia non è un costo inutile.

Ma non in questo caso. Non tanto per la spesa dell’organizzazione, e nemmeno perché - su questo tema - i soggetti proponenti cavalcano pericolosamente – questo, purtroppo, è nelle loro facoltà - un’onda populista e demagogica. Quello che mi preme di più, semmai, è proprio l’idea che andare a votare “sì” (leghisti o non leghisti, destra o sinistra) serva per “esercitare la democrazia”.

 
Il mio gatto Athos
Questo referendum non è uno strumento di democrazia. Lo penso sia da un punto di vista formale che di sentimento, di “feeling”.

Il nostro “Sì” è l’unica risposta possibile al quesito. Già questo è un segnale di poco rispetto per il confronto e la partecipazione: il popolo non deve esprimersi su alcunché.  Chi non vorrebbe maggiore autonomia? Ma il quesito referendario, in origine, non era questo. I sostenitori del referendum ci dicono che la Regione chiede “maggiori poteri” e “maggiore legittimazione” per andare a “trattare l’autonomia con l’appoggio del popolo. Eppure, è evidente come la Lega e il suo Governatore in origine volessero altro: risulta chiaro dalle leggi regionali, approvate tre anni fa, in cui il Presidente della Giunta veniva autorizzato a interpellare la popolazione su quesiti giudicati chiaramente eversivi. Come il primo, che diceva espressamente:

- Vuoi che il Veneto diventi una Regione indipendente e sovrana?

Già questa domanda dovrebbe farci sobbalzare dalla sedia: quanti genuini elettori del sì andrebbero a votare con lo stessa convinzione e col medesimo sentimento, sapendo che la domanda – in partenza - era di tale portata, completamente diversa da quella generica e inconsistente che voteremo il 22?

I quesiti originari, ben 6, sono stati cancellati perché incompatibili con la Costituzione italiana. Solo l’ultimo quesito, apparentemente innocuo per la sua genericità da quinta elementare, tende anch’esso a ottenere quello che non si può avere: una regione “quasi-speciale”.
Quanta meschinità: utilizzare la mole delle risposte positive come strumento di ricatto contro il governo e contro tutte le altre regioni che sarebbero destinate a rimetterci. È questo lo spirito veneto? Per cosa andranno a votare allora le moltissime persone che pensano di dire “la loro” sul tema dell’autonomia? Sulla questione del residuo fiscale? Questa non è certo di competenza del referendum.
Eppure le possibilità di autonomia offerte dalla Costituzione ci sono eccome. La Carta dice proprio:
Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, possono essere attribuite alle altre Regioni [quelle non a statuto speciale], con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata.
Ma noi scegliamo di forzare, instillando un risentimento che – abbiamo visto questi giorni – può diventare pericoloso per tutti. Da vent’anni, la Lega stra-vince le elezioni a suon di “Roma ladrona”: i veneti, quindi, si sono espressi molte volte a favore di più autonomia. Qui sta il punto: la vera autonomia si può ottenere – referendum o meno – solo col voto del Parlamento. È quindi facendo battaglia con lo Stato e con il resto dell’Italia che pensiamo di ottenere risultati? La strada di un conflitto con lo Stato è tragicomica e controproducente.
Di fronte a tutto questo non provo vergogna nell’astenermi. Queste persone che mi chiedono di “esercitare la democrazia”, sono le stesse che quasi 10 anni fa contribuirono in ogni modo a impedire che noi veneti ci esprimessimo sulla questione Dal Molin: battaglia che aveva riguardato tutti, persone di ogni colore politico. Ricordo quei momenti. La delusione del voto bloccato, la fiaccolata in piazza. Ricordiamo le democratiche posizioni leghiste del tempo? Oggi come allora, loro erano e sono i “paroni a casa nostra”.
Porto il ricordo di questa ferita, come di tutte le macchie che hanno sporcato la storia del Veneto in questi anni: dai piccoli Joe Formaggio sparsi nelle nostre terre, fino ai finanziamenti pubblici, il sistema sanitario, le banche Venete, la xenofobia, l’istituzionalizzazione della paura, del razzismo.

Da un punto di vista politico, che occasione persa per i Partiti e i movimenti che hanno il COMPITO e il DOVERE di rappresentare un’alternativa culturale e politica alla Lega. Davvero incredibile che nel grande carrozzone dell’autonomia-indipendenza siano saluti tutti, ma proprio tutti, i partiti, i movimenti, i Comuni del territorio, compresi quelli che sanno quanto sia inutile questo referendum, ma che per ragioni di convenienza e di consenso, rimangono zitti.
Davvero i miei complimenti ai ragazzi del Comitato per l’astensione. Unica voce fuori dal coro, un piccolo gruppi di ragazzi dai 25 ai 30 anni: per fortuna, qualcuno c’è.  In un referendum di questo tipo, dove obiettivamente non si può rispondere “no”, l’unica alternativa logica al “si” diventa – purtroppo - l’astensione. Chi non condivide questa Politica ha dunque poche alternative nell’immediato: non partecipare al voto, convincere le persone che si debba utilizzare seriamente il percorso previsto, senza urlare, senza forzare, parlando seriamente del tema del federalismo con tutte le altre regioni.

Io sono orgogliosamente veneto, regione con una storia secolare, una cultura aperta agli altri da sempre: Venezia, la New York del suo tempo, fu capitale del mondo, città cosmopolita e multietnica fin dall’origine. Io provo a dare un piccolissimo contributo studiando la storia e la letteratura, facendo politica e volontariato. Non posso sopportare l’attuale egemonia culturale e politica della mia regione. A volte, mi viene voglia di piangere e di gridare “non è così per tutti!” Ripenso al Veneto e ai veneti; mi coglie l’aristocratico pensiero di andarmene, di sentirmi una persona superiore che non sono: per fortuna il pensiero mi abbandona subito. Non avrei nemmeno il coraggio…

Come fare per resistere a tutto questo? Non ne ho idea! Mi viene in mente la resilienza, quella capacità di un metallo di resistere a urti e torsioni (cioè sopportare). E poi la solita retorica dei piccoli gesti quotidiani, passando anche per una scelta difficile come l’astensione. Fare il nostro in attesa che – inevitabilmente – arrivino i giorni migliori. Mentre scrivo queste parole, il mio gatto Athos dorme sulla bandiera del Veneto che da qualche giorno ho posizionato in salotto. Quando l’ho ricevuta, in qualità di rappresentante d’istituto al Pigafetta più di dieci anni fa, ho subito pensato di gettarla via: era infatti un regalo dell’assessore Donazzan. Per fortuna non l’ho fatto. Nonostante loro si siano presi anche il Leone, il mio segno zodiacale, ci tengo ancora. È la mia bandiera, proprio come “sta lingua che so ma che no parlo”; io ne faccio tesoro e memoria, come mi insegna Bandini:

Sta lingua la xe quela


che doparava me nona stanote

vardandome da dentro la soàsa.

La boca stava sarà, le parole
mi le sentiva ciare.

Me nona


la ga imparà sta lingua da le anguane

che vien zo da le grote

co sona mesanote
caminando rasente le masiere:
e da le róse
dove le lava fódare e nissói
se sente ciof e ciof sora le piere
e te riva un ferume de parole
supià dal vento
che zola par le altane.

Me nona


se ga levà na note co le anguane

par vegnere in sità.

Par paura dei spiriti che va
de sbrindolon tel scuro
la diseva pai trosi la corona.
La xe rivà de matina bonora:
subito dopo un brolo de pomari
ghe iera case e case da ogni banda.

La domandava el nome de na strada,


scoltando na sirena 

la xe rivà in filanda.

«Senti sta tosa come che la parla»,
i pensava vardandola tei oci
i botegari e i coci,
«la pare un stelarin che vien dai orti»…

Sta lingua


la so ma no la parlo,

la xe lingua de morti.



Da Santi di Dicembre, Garzanti, Milano 1994



3 commenti:

  1. Grande Joe! ...analisi lucida e commuovente... :) penso che rispecchi il pensiero e lo stato d'animo di molti...

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  2. Grazie Charlie. Facciamo qualcosa anche noi? Ci troviamo martedì. :)

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  3. E questo sarebbe il risultato di studio di storia e lingua?
    Lo stendere una bandiera regionale pochi giorni prima di scrivere un'articolo così?

    Senza contare che i quesiti non erano 6 ma 5, ma si confondono due leggi separate, la legge 15 proposta da Forza Italia, e la legge 16 di Indipendenza Veneta. Entrambi partiti che con la lega hanno poco a che fare, almeno nei termini proposti qui.

    Qui si confonde alla grande "l'essere veneti" di una sinistra progressista come quella Europea (sinistra autonomista se non indipendentista) con il falso "essere veneti" della sinistra italiana, tutt'altro che interessata alla cultura veneta e al suo popolo, ma più incentrata ad utilizzare l'etnonimo per diffondere un'idea assolutamente sballata sul referendum, non tenendo per nulla in considerazione alcuni punti del diritto che questo referendum andrà a toccare, come il diritto internazionale.

    E non basta neppure essere giovani come principio di sufficienza, se gli stessi sono facilmente riconducibili a "Bersani presidente", "nuova sinistra" meno civiche, più pd", "giovani democratici", binario1", ecc. che tutto hanno tranne l'interesse dell'essere veneti.

    Stendiamo un velo pietoso sulla lingua che non si sa parlare ma che ci si guarda dall'imparare.
    Questo è essere veneti?
    Ma per carità.

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