Si è scritto di “nuovo fascismo” che fa presa sui giovani e sui “rimasti fuori”. Ecco, possiamo dare a questo rifiuto del bene comune il nome che preferiamo, ma penso che sia vero. Mi domando quale sarà la rappresentanza in Parlamento per il Paese che vuole al centro i diritti, l’integrazione, lo studio che porta al lavoro. (Non mi interessa quale colore, quale sigla).
Il poeta Bandini era iscritto al Partito Socialista quando questo era ancora di Nenni. Io non ho idea della vita e della politica di allora. Immagino - però – quel socialismo come un tentativo, un modo per riformare il mondo, cambiarlo in meglio. Bandini faceva politica (come Consigliere Comunale) e faceva poesia. Insieme. Ma non faceva poesie politiche. Fissava i ricordi di un’Italia che non c’è più (le tanto svilite “radici”). Scriveva di Vicenza.
L’Italia descritta era contadina, una civiltà rurale regolata sul ciclo delle stagioni e sul lavoro nei campi. Era incazzato con Vicenza (“schiaccerò la cupola di rame del Palazzo Della Ragione”): città ottusa, servile, democristiana. Immobile e pesante. Ma amava il cuore antico e nobile dei suoi palazzi, le sue ville, la sua gente. Amava il dialetto parlato da tutti, ma anche il latino dei preti e delle persone di cultura. Il ruolo attivo della sua poesia ha il valore della testimonianza, per resistere al peso della Storia e alle spinte peggiori del suo (nostro) tempo.
La nuovissima raccolta con tutte le sue poesie |
Cosa voglio dire? Non lo so, sto provando a dare un senso al prossimo voto. Chissà che lo sforzo del poeta sia anche il nostro di elettori (perdenti, incazzati, indecisi). Chissà di riuscire quantomeno a entrare in cabina e fissare dei valori - anche se non siamo poeti - contro la peggiore "modernità". Questo. Escludere l’incompetenza e l'egualitarismo disinformato che sconfessa chiunque: medici, professori, specialisti, bravi politici. “Esponendo la testa alla ventate” scremare, allontanare, per quanto ci è possibile, le forme palesi o occulte di razzismo, il fascismo che trova terreno fertile nell'ignoranza, nella superficialità, nella volgarità.
Allora, cosa dite? (Non rispondono,
è inutile sperare che si sveglino
i vecchi abbati
al rintocco di aprile. (…)
No, non mi riferisco al presto o al tardi,
al fare o al non fare
e se oggi o domani.
Parlo d’anni lontani
quando il cuore fu gonfio
e la speranza un naviglio ormeggiato
desideroso di poter salpare.
Io parlo delle nuvole vaganti
su questi tetti
Ad ogni nuovo autunno,
delle mille sigarette
la cui cenere ho sparso
per tutta la città,
dell’adolescente carità
che poco tempo stette
tra noi, poi andò via.
Ed ecco viene con l’inverno il tempo
di slitte e biblioteca,
neve e filologia.
Viene il tempo
del codice pavano sotto il fioco
Sussurro della lampada,
e il dolce bulicame dei glossari
che mette pace tra i venti contrari
delle passate età
e la nuda parola ci rimena (…)
E viene con l’inverno
il tempo di salire alla collina
e tornare ragazzi
con mani e piedi e non secondo il frusto
mito dell’infanzia.
E com’è forte il gusto
del ghiaccio in bocca,
com’è bella la neve non tòcca
sulla spalletta,
come mi piace vivere!
Tutte le cose trascorrono in fretta
ed io rimango
ancora qui nella città natale.
Il mio cuore è un pluviometro,
esponendo la testa alle ventate
so la velocità del temporale.
E un giorno con un pugno schiaccerò
la cupola di rame del Palazzo
Della Ragione,
ma sempre in ogni stagione
questo posto amerò più d’ogni altro.
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