Con
Marco prendo il treno che piove molto, forse da più di una settimana. Corriamo
perché aspettiamo fino all’ultimo in cortile, per provare a balbettare qualcosa
che è franco-veneto prima del treno. Saliamo che siamo euforici, sempre,
neanche ci badiamo che siamo un po’ zuppi di pioggia perché siamo troppo
impregnati delle impressioni di oggi, dei fatti di quest’oggi-qui. È tutto
molto immediato, veloce e in essere. Reale. Io avrei molto da parlare di ieri: che
sul tardi ero proprio su quello stesso treno lì, che l’avevo preso molto più in
là, a Napoli, dove sono andato da solo, in treno, poi a piedi, eccetera. Penso
a queste cose e anche lui ha dei pensieri, magari che centrano con la musica,
ma poi non ce le diciamo queste cose, ci parliamo della città-qui e di questi
giorni-qui che sono ciccioni, sempre più grossi di cose da vedere, da scegliere
e da fare. Sono giorni che ci sentiamo tondi e molto grassi di parole in -à che
si legano un po’ tutte: città-università-novità e aggiungerei anche
pedissequietà, che non esiste ma che ci fa ridere entrambi. Vorrei tanto
inventare mille belle parole in rima, e non solo in –à, ma non ci riesco
proprio, Marco magari lui sì, è un po’ poeta e un po’ marpione, ma lo dico sottovoce:
si offende e un po’ glielo invidio.
Ho avuto delle ore in treno: a pensare
di scrivere qualche parola magari in rima, e magari su una città grande e
generosa come Napoli, ma lì con Marco mi decido di non farlo.