mercoledì 5 novembre 2025

Viaggio in Cisgiordania - Shukran (شكراً)

UN VIAGGIO

Nei giorni scorsi, insieme a sei amministratori e amministratrici con delega alla pace — Vania, Francesca, Giovanni, Jacopo, Sandro e Giorgia  — su invito di Operazione Colomba e dei suoi volontari ci siamo recati in Cisgiordania, fino Tuwani, in Masafer Yatta, regione a sud di Hebron.

È stato intenso, vedere personalmente quanto viene denunciato da tempo nelle nostre piazze e consigli comunali. Eravamo mossi anche da un’esigenza molto personale: toccare con mano le violenze, capire cosa significa la violazione dei più elementari diritti umani.

È difficile raccontare la Palestina, è difficile comprenderla ed è difficile attraversarla. Se l’abbiamo fatto è perché godiamo di una posizione privilegiata rispetto a tante persone che lì vivono da sempre. 

Abbiamo incontrato persone con le loro versioni e prospettive, in un “arcipelago” di terra interrotta e ferita da occupazioni e colonie illegali e dove il diritto internazionale non è “fino a un certo punto”: proprio non esiste. Arcipelago perché è un misto di tante cose. Dal semiarido e desertico, agli oliveti e vigneti, alla macchia mediterranea fimo alle steppe aride. Ma è soprattutto un mare di frammentazione territoriale — i confini amministrativi, i check point creano un mosaico impossibile di spazi fisici interdetti, bloccati.

Arriviamo all’aeroporto Ben Gurion, Tel Aviv. Aeroporto interdetto ai palestinesi, beninteso. Attraversiamo Gerusalemme dalla Porta di Damasco. Giornata calda, cielo terso, che dà una luce particolare ai tratti mediorientali della città. Una porta un tempo luogo simbolo culturale e commerciale — oltre che politico — della Gerusalemme Est. Ora scalinate, posti di guardia, e scelte urbanistiche hanno tolto parte di quell’antica centralità, ma resta l’accesso alla città vecchia più autentico.

Appena oltre l’arco possente, le mura di pietra, voci dei venditori si intrecciano con gli aromi, il canto dei muezzin lontano e le campane della Città Vecchia. Mi soffermo su questo perché tra i fucili dei soldati che sono un po' ovunque riconosco luoghi che ho "ascoltato" fin da bambino: la Via Dolorosa, il Muro del Pianto, il Santo Sepolcro. Anche noi lasciamo il nostro biglietto al Muro del Pianto e, dopo due controlli, arriviamo alla Spianata delle Moschee (al Haram al Sharif). Proprio in questi giorni occupata dai coloni israeliani.


Il lento affievolirsi dell’identità araba di Gerusalemme Est è uno dei fenomeni dolorosi e complessi del presente mediorientale. La città sta subendo una progressiva erosione della sua fisionomia araba. Non solo per la presenza crescente di coloni israeliani nei quartieri tradizionalmente palestinesi, ma anche per una politica urbanistica e amministrativa che tende a riconfigurare il tessuto urbano e simbolico della città: case demolite, permessi di costruzione negati, revoche di residenza e nuove infrastrutture che isolano i quartieri palestinesi. 

Ci fermiamo a prendere qualcosa che per me è insolito ma che in ogni via trabocca: il succo di melograno, spremuto con l’apposito spremi melograno. Molti gatti abitano le vie. In questo contesto troviamo la libreria Educational Bookshop, un piccolo faro culturale che resiste vicino al quartiere di Sheikh Jarrah. Un archivio vivo della memoria palestinese e un laboratorio di pensiero critico aperto al mondo. È uno dei pochi luoghi dove palestinesi, israeliani e stranieri possono ancora sedersi insieme a discutere, leggere, ascoltare.

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AIDA CAMP

Da Gerusalemme ci spostiamo a Betlemme. Dedichiamo un tempo sostanziale alla visita dell’Aida Camp. Il campo profughi palestinese si trova a nord di Betlemme, fondato nel 1950 per accogliere i palestinesi che fuggirono o furono espulsi durante la guerra del 1948 (la Nakba). Il campo è circondato dal muro di separazione israeliano, da torri di controllo e checkpoint. 

Ci accoglie Moustafa: caffè, grandi sorrisi, fuori dallo “Youth centre”. Poco prima di entrare incontriamo un grande portale di cemento sormontato da una gigantesca chiave di ferro — simbolo universale del diritto al ritorno dei profughi. 

Sulle pareti attorno all’ingresso si stendono murales colorati di ogni tipo: volti di bambini, mappe della “Palestina storica”, figure di donne con le chiavi in mano, scritte in arabo e inglese.

Moustafa ci racconta delle ronde notturne e di giorno, quasi tutti i giorni, da parte dell’IDF. «Aida è diventato un villaggio, non tende, ma noi siamo ancora rifugiati: aspettiamo di tornare».

Visitiamo la nuova scuola realizzata grazie ai fondi ONU, con le finestre antiproiettili affacciate sul grande muro: nel campo l’istruzione è uno degli strumenti essenziali di resilienza ed è vissuta con grande intensità e profitto. I bambini, all’uscita, ci circondano per chiedere una moneta o una foto. «Education is one of the most powerful ways» ci dicono. «Educhiamo al rispetto e alla storia dei nostri nonni. Se chiedete ai bambini per strada da dove sono, risponderanno: dai villaggi evacuati dal 1948 in poi».

I servizi della UNRWA, agenzia ONU, stanno calando — soprattutto medicinali. In molti anni la maggior parte dell’assistenza medica proveniva dagli Stati Uniti. Giriamo fra le vie strette del Campo che non può espandersi e quindi cresce solo in altezza, con i conseguenti problemi di servizi, acqua, spazio e sicurezza.

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TUWANI

Andiamo a Tuwani con un taxi collettivo da Betlemme. È un piccolo villaggio palestinese nell’area collinare di Masafer Yatta, a sud di Hebron, in Cisgiordania, circondata da colline brulle e uliveti, dove le case di pietra e le tende si fondono con il paesaggio. È classificata Area C, sotto pieno controllo israeliano. 

Il villaggio è noto per la resilienza dei suoi abitanti, che da anni resistono ai tentativi di espulsione e alle pressioni dei coloni israeliani vicini. L’area è stata dichiarata zona di addestramento militare (firing zone) e ciò mette in costante pericolo la sopravvivenza delle comunità locali. 

Durante il viaggio verso il Masafer Yatta non siamo stati fermati da checkpoint, ma incrociamo colonie e avamposti praticamente ovunque. All’ingresso di ogni deviazione per i villaggi palestinesi, grandi cancelli gialli chiariscono se si può entrare o uscire.

Arriviamo a casa di Hafez: luogo particolare dove convivono la sua numerosa famiglia, i volontari internazionali nella vicina guest house (recentemente soggetta a ordine di demolizione), tanti gatti. Hafez ci accoglie, portandoci una cassa di mandarini. Hafez è un contadino palestinese, attivista per i diritti terrieri e leader locale della resistenza non violenta organizzata dal comitato South Hebron Hills Popular Committee. “Qui vige l’ordine militare e la logica delle armi e dell’impunità totale. I villaggi di questa zona sono considerati parte della firing zone: l’ordine è andar via. Distruggono quello che possono: pozzi, infrastrutture; evacuano palestinesi. Tutto questo si è svolto sotto una debolissima attenzione mediatica”.

La resistenza nonviolenta di Tuwani parte nel 2000 con l’opposizione alla costruzione del muro, prosegue con cause legali, picchetti, accoglienza di attivisti internazionali per “accompagnamento” eventi comunitari. Si lavora giorno e notte per unire i villaggi con modalità e obiettivi comuni. 

Hammoudi, figlio di Hafez, ci mostra Tuwani dall’alto, con gli avamposti di Ma’on (insediamento ufficiale) e dell’avamposto illegale anche per Israele Havat Ma’on, appena sopra casa sua. Polvere, olivi, in gran parte spianati e bruciati, ma anche territori incontaminati, pieni di filo spinato, barriere e muri. Gli avamposti quasi toccano le case del villaggio. Con noi i volontari internazionali di Operazione Colomba che filmano e accompagnano i palestinesi, documentando e proteggendo.

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BASEL

Sono posti bellissimi. Letteralmente “da film”. Lo dico perché qui, pochi mesi fa, è arrivata la statuetta dell’Oscar. Per il film No Other Land, incontriamo Basel Adra, regista e attivista. La sua casa, che all’ingresso colleziona lacrimogeni e bombe lanciate contro la proprietà, ospita attivisti non violenti israeliani. Fa strano sedere di fianco a un premio Oscar, una persona così umile, malinconica, determinata.

Ci racconta del grande supporto dalle manifestazioni in tutta la Palestina, e ci invita a “cogliere il momento”, perché la situazione sta peggiorando e non migliorando in Masafer Yatta. “Dopo il film non è cambiato molto per la mia comunità”.

La comunità israeliana ha attaccato il film e lanciato una campagna di discredito. Nove nuove colonie in più negli ultimi due anni in questa zona. Ogni notte invasioni, arresti, interrogatori per far capire chi è il padrone. Altre forme di resistenza. La cooperativa delle donne, il percorso accompagnato dai volontari internazionali in mezzo alle colline da Tuba a Tuwani per portare i bimbi a scuola, lo sciopero della fame per ottenere indietro il corpo di Awdah, l’attivista e giornalista trentenne ucciso in pieno giorno dal colono israeliano Yinon Levy. Il ragazzo, presente nel film, ha letteralmente filmato la sua morte.

Il padre di Basel, Nasser Adra, gestisce l’ultima pompa di benzina prima del deserto. È il luogo ritratto con commozione in No Other Land. Ci facciamo una foto lì, come fossimo su un set — che invece è realtà.

Dormiamo a Tuwani, nella guest house senza più mobili, senza più porte. I bulldozer potrebbero arrivare da un momento all’altro. A cena si prepara e si mangia insieme: volontari, amministratori, ospiti della comunità di Tuwani. Hummus, carne, pite. Naturalmente zatar — spezia tipica che è ovunque: nel pane, nel tè, nella carne.

Torniamo a Betlemme il giorno successivo.

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BETLEMME

Hiba e Wissam sono due capi scout di Beit Sahour, vicino Betlemme. Due persone normali, che sono potute venire in Italia con i loro ragazzi per uno scambio ospitati dai ragazzi coetanei dei Comuni della Riviera del Brenta la scorsa estate.

“Per la prima volta mio figlio si è sentito così libero, ama l’Italia” ci racconta Hiba, seduti in un bar dove siamo gli unici clienti, al polso un braccialetto dell’Italia. Lei lavora all’università, lui a Gerusalemme: partenza alle 5 da casa, dalle 2 alle 8 ore per entrare. Per uscire dal paese e viaggiare, solo dalla Giordania, con il valico aperto dalle 8 alle 12 per uscire ad Amman. Hiba ci dice: «Mio figlio mi chiede perché ci fanno tutto questo?» Facendoci capire che è difficile non crescere nella rabbia e nell’incomprensione. Eppure continuano, facendo scoutismo e i campi estivi, con tende e sopraelevate, in territorio area C. 

Visitiamo il municipio di Betlemme, con il sindaco Nicola Maher che è stato nostro ospite poco tempo fa. All’ingresso del municipio, sulla piazza principale di Betlemme, una cartina del mondo mostra tutte le città gemellate o amiche di questo luogo simbolo della cristianità, che ora soffre con strade e alberghi semivuoti. Fra queste c’è anche Vicenza.

 Il sindaco e i suoi consiglieri sono contenti di rivederci. Ancora caffè per tutti, in tazzine al solito molto piccole. Raccontiamo cosa abbiamo visto, vediamo la loro reazione, seria, pacata. Si avvicina il Natale e il sindaco ci invita a tornare nuovamente, vivere la speranza, riempire le strade. «Anche se ci separano, siamo uniti: la nostra forza è creare connessioni tra esseri umani». «La verità è ciò che vedi con i tuoi occhi; il supposto è ciò che gli altri ti dicono», ci dice Hisham Al Kamel, consigliere di Betlemme.

È così: incrociamo anche il coro Amwaj, diretto da Michele Cantoni e con al piano il maestro Ramzi, diplomatosi a Vicenza. Le canzoni del coro, che ha cantato con Paola Turci per raccogliere fondi per l’ospedale cittadino, poi la visita al Bethlehem Peace Center in piazza: dove si svolge il mercato delle donne con prodotti locali e di loro produzione — ora che gli uomini non lavorano, sono le donne a gestire l’economia familiare di molte famiglie, ci raccontano. Facciamo “shopping” di Zatar e saponi, datteri, e immaginiamo di tornarci al Peace Center, con il quale abbiamo siglato un protocollo di collaborazione.

È uno degli ultimi incontri prima del rientro. Dobbiamo prendere l’aereo. In aeroporto, un lungo interrogatorio confronta le nostre versioni: «Chi siete? Da quanto vi conoscete? Dove siete andati? Con chi avete parlato?» È stato un momento per me inedito, pesante, soffocante. Ma non mi spingo oltre, perché è poca cosa rispetto alla bellezza e alla fatica che abbiamo visto; non vuole distogliermi dall’impegno preso con i miei compagni di viaggio. Tornare e costruire.

La cosa che più mi ha colpito la cortesia e la serenità di chi ci ha ospitati. Un popolo in sofferenza, con un genocidio in corso, ma con una grande semplicità e umanità che ho trovato sproporzionata, quasi ingiusta. Rivoluzionaria.


martedì 24 dicembre 2024

e le campane suonavano a festa per il giorno di Natale

Fra le cose “nuove” di questo Natale a Vicenza, è stato simpatico trovare una cassetta per le lettere a Babbo Natale nella corte di Palazzo Trissino, il luogo dove lavoro. È una corte che si è aperta questo Natale, con un albero colorato, senza le auto, con delle panchine per fermarsi a parlare e la possibilità di entrare da Contrà Cavour, che fa uno strano effetto, perché di solito è sempre chiuso.  

Nelle loro letterine, i bambini e le bambine hanno fatto una serie di richieste: walkie talkie, maglione con le renne, un astuccio con le orecchie da gatto, una chitarra, i mattoncini per le costruzioni, un libro di Natale.. ma anche domande, “quanti bambini ci sono nel mondo?” Che a pensarci bene è una bella domanda. Sono meno di 800 quelli che nascono a Vicenza in un anno.

Ovviamente c’è chi ha chiesto un “Natale in famiglia”. 

Dopo settimane di tanto (troppo) dibattito su cosa sia più tradizione, cosa meno, è arrivato il tempo che ognuno può dedicare a sé e agli altri, riservando una dose di maggior riguardo a gesti di affetto e cortesia; curando rituali e luoghi che di solito scorrono veloci, persino scontati, da non prestarci troppa attenzione, come una porta laterale o un’altra via.

Abbiamo cercato di mettere il bambino e la bambina al centro, nell’attenzione data allo 06 in quest’anno nel quale molto è stato fatto per la prima infanzia e i servizi educativi, linea che sta impegnando il mio mandato. Scuola, pace, partecipazione: sono materie che abbisognano di tempo, relazioni e pazienza. 

Per queste feste ho scelto una canzone, visto che usciamo da concerti natalizi, recite, jingles e videomapping. 

Fairytale of New York. Un grande classico natalizio dei Pogues. Anno 1987, più vecchia di me, cantata da Shane MacGowan che è scomparso poco tempo fa. Chi mi conosce mi prenderà in giro su questa scelta, sono fin troppo affezionato ai Pogues, alla cultura irlandese, alle storie di emigrazione, ai Modena e altre cose decisamente passate di moda. 

C'è il contrasto tra le due voci della canzone, lui sbiascicante e rauco, e Kirsty MacColl dolce e soave, e poi una storia non troppo allegra  nonostante il motivetto. Racconta di un ubriacone irlandese che la vigilia di Natale è sbattuto in cella. Ricorda con amarezza il primo Natale a New York che aveva trascorso con la sua fidanzata, i sogni e le speranze e il fallimento della loro esistenza, la droga e l’alcol.

Il sogno finisce a metà canzone in una violenta litigata con pesanti e censurabili insulti e forse la separazione (ma non lo sappiamo: finale aperto!). Due immagini contraddittorie nella stessa cornice notturna, la coppia innamorata che balla per le strade sotto la neve mentre le campane suonano a festa per annunciare il 25 dicembre e il disincanto, la violenza dietro gli addobbi e le lucine. 

Il desiderio di credere ancora alle favole!

Natale che è occasione di pace di riposo, ci ricorda anche le contraddizioni, un mondo in guerra, l’individualismo, la corsa al riarmo, l’indifferenza che uccide e lascia uccidere, con guerre di ogni genere, in particolare nella terra dove nasce Gesù, dove a essere colpiti sono bambini, donne, malati e anziani. Una letterina anche per loro, e l'impegno ostinato a coltivare una società fraterna a partire dalla nostra comunità. 

Buon Natale! 




domenica 25 febbraio 2024

Cessate il fuoco

Sono passati due anni esatti dall’illegale invasione russa dell’Ucraina, Stato sovrano aggredito militarmente alle porte dell’Europa, quindi qui, in casa nostra. Oggi, due anni dopo, siamo ancora a chiedere un processo di pace e la fine della strage di civili. Molti di questi sono passati per Vicenza e a Vicenza hanno trovato sostegno e accoglienza.

A due anni dall’invasione russa, era con noi qualche giorno fa il sindaco di Zhytomyr Sukhomlyn con cui il sindaco Possamai, lo scorso 23 novembre 2023, ha firmato l'Accordo di cooperazione e d'intesa allo scopo di promuovere relazioni amichevoli tra le due comunità, vicentina e ucraina, pronti ad azioni che favoriscano lo sviluppo di una cultura della pace e della cooperazione grazie anche all’aiuto di ALDA e del CSV. 

Oggi è l’occasione per dire che quanto sta accadendo in Israele e in Palestina è un orrore che interpella tutti noi, come hanno detto 56 sindaci della provincia di Vicenza di diverso colore e provenienza politica, nell’appello all’urgente e non prorogabile cessate il fuoco umanitario in Medio Oriente.

Sono tre parole che circolano da mesi ma che non hanno trovato finora riscontro, - cessate il fuoco- , 

si accompagnano alla richiesta di liberazione degli ostaggi israeliani di Hamas, a garantire dopo mesi di violenza l’incolumità della popolazione civile di Gaza, garantendo la fornitura di aiuti umanitari all’interno della Striscia e la fine delle violenze in Cisgiordania;

Siamo qui perché il riconoscimento del valore della Pace per la città di Vicenza è contenuto negli atti costitutivi e ufficiali dello Statuto Comunale (Articolo 2: Pace e Cooperazione). Uno dei primissimi articoli: non a caso. 

così recita: 

 "il Comune riconosce nella pace un diritto fondamentale delle persone e dei popoli" e “promuove una cultura della pace e dei diritti umani mediante iniziative culturali , di educazione e di informazione con il sostegno delle associazioni che promuovono la solidarietà con le persone e le popolazioni più povere”

Le città sono le istituzioni più vicine ai cittadini. Sono i luoghi dove la vita quotidiana si svolge a tutte le età. Sono comunità di persone, di chi ci nasce e dei molti che arrivano da fuori per scelta o perché non c’è alternativa.

Le città sono le persone e sono anche le prime vittime dei conflitti, delle crisi umanitarie e delle guerre. E non ci sono città dei diritti umani senza società civile e istituzioni determinate a proteggerli e realizzarli. 

Per noi i diritti umani sono tante scelte quotidiane, dalle cura dell’ambiente alle scuole fino ai centri antiviolenza, sono i luoghi dove si può dar voce ai pensieri e partecipare alla vita della città.

Abbiamo appena celebrato, al Parco della Pace, il 75e esimo anniversario della Dichiarazione Universale Diritti Uomo, scritta all’indomani della seconda guerra mondiale mettendo proprio al centro dell’ordine mondiale la dignità e di diritti delle persona.

Eppure siamo qui ora perché stiamo vivendo una regressione nella promozione e nella tutela dei diritti umani, regressione che si trasforma in vera e propria illegalità internazionale.

Siamo qui per dire che la strada resta ancora la via istituzionale e giuridica alla pace , anche in questa fase storica. Non ci sono alibi per intraprendere tutte le iniziative necessarie al lavoro multilaterale dell’Onu, dell’Unione europea.

Siamo qui per promuovere educazione dei diritti umani e della cura.

Quello che hanno chiesto i ragazzi e le ragazze ieri sera a Pisa, e che chiedono tanti giovani in Italia 

Oggi ho letto un bell’articolo di Viola Ardone sulla Stampa, in riferimento ai fatti di Pisa, che intitola: Quegli studenti sono i nostri figli. Le cariche sono un fallimento.

Chi sono questi ragazzi che chiedono coraggio, posizione e interventi di pace agita? Molti si sono rivolti anche a noi, all’amministrazione, smarriti e critici verso le istituzioni per chiedere spazio, coerenza voce di speranza e di radicalità 

Scrive Ardone: 

Sono estremisti?  O sono ragazzi e ragazze scese in piazza per esprimere un pensiero e chiedere un cessate il fuoco? Sono quelli a cui abbiamo insegnato fin da piccolini le poesie sulla pace nel mondo, quelli a cui abbiamo assegnato i temini contro la guerra, a cui abbiamo fatto disegnare gli arcobaleni e le colombe. […] 

si schieri su questa storia la società civile , si schierino i genitori, si schierino gli educatori, le forze dell’ordine […]

A meno che non siamo tutti d’accordo sul fatto che la nuova generazione non abbia diritto di parola, e che vada tacitata prima ancora che prenda le misure per stare nel mondo 

A meno che non stiamo insegnando che chi parla e chi si espone pacificamente mosso da un principio o da un’idea faccia bene a ritirarsi a starsene zitto e buono nel tinello di caso appeso al joystick di un videogioco piuttosto che in una strada con uno striscione in mano […]

Avere tanta paura dei ragazzi significa o essere molto deboli o che le voci di quei ragazzini in realtà sono più forti di quanto possiamo immaginare, o magari tutte e due le cose

Ecco come possiamo fare la differenza “da qua”, da questa parte del mondo così vicina e addentro alle crisi globali di oggi, di cui è partecipe e responsabile, con l’educazione alla pace, intercettando il desiderio di giustizia 

In una scuola media della città è sorta da qualche settimana un progetto di mediazione umanistica, un programma di sostegno fornito dagli stessi alunni ai compagni, sia vittime che autori di violenza. 20 giovani mediatori si sono formati in orario extra scolastico e dovranno intercettare, scoperchiare e provare a risolvere le situazioni di conflitto tra compagni di scuola ispirandosi ai principi della giustizia riparativa.  

Fare pace è verbo , è agire 

Nella nostra scuola, nei nostri quartieri e biblioteche, a Kiev, a Gaza nelle 60 guerre in corso nel mondo in questo momento.

domenica 24 dicembre 2023

Natale, tempo e routines

L’opera di Sassolino in Basilica arriva nel momento giusto. Il Natale è quel periodo dell’anno necessario per fermarsi, fissare un punto, osservare bene e trarre delle conclusioni. Oppure perdersi pigramente nel vortice circolare. No memory without loss ti invita a un lavoro sul tempo e lo fa con tatto, ti avvolge e ti coccola. Decidiamo noi se fare questo bilancio sul tempo, verso la fine dell’anno. L’olio industriale rosso cola piano, lentissimo, ma resta in equilibrio, le gocce cadono comunque, inevitabili. Chi è stato in Basilica questi giorni potrà tornarci anche i prossimi, magari in orari tranquilli, da solo o con qualcuno, la mattina o dopo lavoro, e dedicarsi del tempo, stare tra sé e sé sotto la nostra grande agorà palladiana coperta e bellissima, casa nostra, storia nostra, e dall’altra parte della Sala – davanti a Van Dyick - chiedersi in quale delle quattro età dell’uomo si trova in quel momento, a quale missione ci stiamo dedicando, quanta tenacia ci stiamo mettendo, come il San Girolamo del Caravaggio, che lotta contro il tempo. 

In questi giorni intensi prima dell’ultima campanella di dicembre abbiamo corso moltissimo. Ragazzi e ragazze hanno profuso gli ultimi sforzi dell’anno solare per progetti e verifiche, recite, concerti e spettacoli, lavori e mercatini. Ho assistito ad alcuni di questi momenti, più che potevo. La mia presenza, questo Natale, non era lato “docente”, ma istituzionale. Una prospettiva diversa, insolita. Per me preziosa, necessaria per prendermi del “tempo” altro di ascolto, osservazione, conoscenza del lavoro, delle fatiche e dei pensieri dei docenti e delle famiglie, godermi l’aria sana, allegra e spensierata dei bambini e dei ragazzi. 

In questi mesi sono entrato in un mondo difficile, fragile, che si regge su delicati equilibri, tenuti in piedi come nell'opera di Sassolino dal lavoro costante di chi ci mette sempre grandi competenze, passione, impegno. Il freddo ha messo alla prova le nostre strutture, grandi sfide impongono riflessioni educative sul “tempo” di crescita dei ragazzi, su quanto è offerto loro dopo il suono della campanella, sul benessere e la dispersione, l’inclusione a scuola. 

La storia di Giulia e di troppe altre donne hanno segnato profondamente. 

Ho visto e incontrato, in questi mesi, tante realtà e alunni e alunne. Abbiamo anche ospitato, a Palazzo, i bambini, nelle sale che spesso sono prerogativa degli adulti, che spesso prendono decisioni non considerando questi cittadini di oggi e non solo di domani che hanno diritto a esprimere la propria opinione su tutte le questioni che li riguardano. Una opinione che deve essere ascoltata e presa in seria considerazione (art. 12 - Convenzione Diritti dell’Infanzia e Adolescenza). In questo Natale 2023, sembra banale ma non lo è, non possiamo dimenticarci che tante persone e tanti, tanti minori non hanno questo diritto e non hanno altri diritti. Diritto a vivere, diritto ad avere un nome, in questa fase storica dove la persona sembra perdere dignità e riconoscibilità, diritto di essere protetto, anche in caso di guerra, diritto a vivere in salute, felice, diritto di giocare, di ricevere un’istruzione. Diritto di avere una vita privata, che deve essere rispettata.

È certamente presente a dicembre anche questo aspetto, del “ritirarsi”: dovrebbe essere giusto per tutti e tutte, avere un momento per staccare dall’incombere del quotidiano, dallo stress del lavoro e dei problemi che soffocano, per godere degli affetti, ritrovarsi e ritrovare le calde routines natalizie che scandiscono le Feste e le relazioni. “L’importanza delle routines”, come hanno ricordato educatori e insegnanti dei servizi 0-6 alle famiglie negli open day di questo fine anno, per i più piccoli questa serie di azioni che si ripresentano nell’arco della giornata, in maniera costante e ricorrente (prepararsi, essere puliti, mangiare, giocare, dormire) sono passaggi fondamentali per il benessere di ciascun individuo; aiutano a gestire meglio lo stress e l’ansia, a trovare “più tempo” per comportamenti sani, comprendere e trovare le emozioni, il calore e gli affetti. Buone routines a tutti allora, e buon Natale.



sabato 15 luglio 2023

Un nuovo lavoro

Il 29 maggio, caldo pomeriggio di "spoglio" elettorale, Giacomo Possamai diventava il sindaco più giovane di Vicenza, in una tornata amministrativa dove la nostra città è stata l’unica con un’affermazione del centrosinistra. Una vittoria al ballottaggio, con una città divisa al voto a metà, ma dove il Sindaco uscente non è stato riconfermato. Un fatto eccezionale. 

È passato un mese esatto dall’insediamento della Giunta e dal mio nuovo lavoro di assessore. Le foto di quel giorno mi ritraggono serio, compassato. Ancora non avevo capito fino in fondo. Ma il mio “sì” era ed è convinto, condiviso con la mia comunità politica e con chi mi ha sostenuto questi anni. 

La felicità e il grande entusiasmo dei primi giorni si è tramutato in voglia e necessità di incidere, conoscere, agire. È stato un mese straordinariamente frenetico, veloce, pieno di incontri e di visite, di conoscenza e di studio, di appuntamenti e di giunte il mercoledì mattina. Mi è stato chiesto di occuparmi di aspetti che intersecano la mia vita, il mio lavoro e valori in cui credo fortemente: istruzione, edilizia scolastica, servizio civile, cooperazione internazionale e politiche per la pace. Tutti aspetti che concorrono insieme alla crescita della comunità in un’ottica di educazione, formazione e istruzione permanente. Ho accettato col cuore colmo di felicità ma anche di preoccupazione per le sfide difficili che dovremo affrontare, per una città che ha chiesto, con il nuovo Sindaco, un cambiamento.

A livello personale significa molto per me: lavoro, scout, tempo libero e relazioni sono dimensioni da rimodulare e incasellare in questa nuova dimensione, inaspettata ma estremamente motivante. 

80 edifici, tutti da monitorare e pensare con attenzione, 10 istituti comprensivi, asili e scuole dell’infanzia da coordinare in un’ottica di continuità 0-6 anni, POFT, centri estivi, mense e trasporti, personale e cucina centrale. Sono le questioni e gli aspetti che sto conoscendo tutti i giorni dall’Ufficio dell’Assessorato Istruzione a Palazzo Territorio, il luogo dove passo parte delle mie giornate. Aspetti che si legano con la sfida di fare rete, di lavorare per l'inclusione, di non lasciare nessuno indietro, di formare anche gli adulti, le agenzie educative e i genitori sfruttando le competenze del nostro territorio. Non di lato, ma nella mia testa in stretta relazione, le politiche educative e di comunità che coincidono con la Casa per la Pace, il Forum, i ragazzi e le ragazze del Servizio Civile. 

Con me la squadra di Giunta: una Giunta giovane ma che lavora con umiltà. E nei miei uffici persone preparate e disponibili, tecnici, posizioni organizzative, dirigenti e dipendenti che mi accompagnano quotidianamente nel lavoro e danno il massimo per garantire un servizio all’altezza per il bene più prezioso della nostra comunità: bambini e bambine, ragazzi e ragazze. Ho potuto incontrare i dirigenti degli istituti comprensivi, la provveditrice agli studi, le coordinatrici dei nostri nidi, ma ancora molti e molte mancano all'appello. 

Ho un’agenda fitta di appuntamenti ma questo mi motiva molto, mi spinge ad ascoltare per farmi un'idea e programmare un lavoro condiviso. Vorrei conoscere e visitare tutte le strutture che non ho avuto modo di vedere e incontrare educatori e insegnanti, funzioni strumentali, responsabili sicurezza, cooperative ed Enti che collaborano con noi per la gestione di questo delicato Servizio. Aiutare la partecipazione delle famiglie e dei genitori.

Le porte del mio Ufficio restano aperte, letteralmente sempre, in fondo al corridoio. Chi vorrà condividere progettualità e buone idee non trova la porta chiusa. 

Noi abbiamo cominciato, speriamo insieme, a costruire la città che vogliamo. Avanti!