Una cosa interessante del cammino scout, che Bianca si appresta a salutare per iniziare nuove avventure, è proprio questo momento straordinario del percorso di una “scolta”: fermarsi per dichiarare, urlare senza paura a tutti (a se stessa e alla comunità che ti ha accolto fin da bambino) che si “parte” dal clan anche per compiere una scelta di impegno politico.
Cosa significa per noi? Avendo uno spritz davanti, e il trambusto di persone del Bar Astra tutto attorno, ci siamo concentrati su pochi concetti, per noi importanti.
Uno dei punti più controversi della legge scout (almeno per me) è sempre stato “sanno obbedire”. Credo però sia un “metodo politico” che lo scoutismo ci lascia dentro e che mi stupisce sempre tanto...
Mi ha insegnato a riconoscere l’autorità a tutti i livelli, che è cosa ben diversa dall'accettazione passiva, dall'autoritarismo cieco e incondizionato. È scelta politica, oggi, riconoscere nel quotidiano i nostri “maestri di specialità”, i lupi anziani, i tanti piccoli maestri che sono le persone che hanno un vissuto diverso dal nostro, una storia da raccontare che parte più indietro nel tempo. “Obbedire”, oggi che siamo tutti autorizzati a giudicare ogni cosa, significa ascoltare, argomentare, non chiudersi nelle nostre convinzioni.
Politica, oggi, è anche curare la responsabilità ad ogni livello, e lo scoutismo ne ha molti. Il tema della “Giornata del Pensiero” di quest’anno è proprio la leadership, una parola che noi usiamo poco e che in molti disprezzano. Lo scoutismo usa la parola “capo”: capo sestiglia, capo squadriglia, capo reparto, capo fuoco, capo Gruppo, ed è più un sogno, un gioco e un obiettivo condiviso, che una imposizione, un sopruso: a tutti noi può succedere di diventare un giorno un capo, un leader.
Per noi la “politica” non può essere slegata dalla concretezza, intesa come sporcarsi le mani, abitare ciò di cui si parla. Per questo, oggi che la voglia di “prendere posizione” (giustamente) è alta, è vera, non basta uscire con un comunicato, partecipare a una marcia. Si parte sempre dall’osservare, conoscere la propria comunità. In questo momento di grande “agitazione” collettiva per la tragedia dei migranti, ad esempio, quali sono le iniziative e le energie che nascono nel territorio, siamo in grado di valutare i metodi che vengono usati, le soluzioni proposte? Riusciamo a resistere alla tentazione di creare qualcosa di nuovo partendo da zero? Riusciamo a far nostra un’opinione o un’esigenza che viene anche da altra parte politica? (è questo, infatti, il vero senso del civismo).
Per lo scoutismo, per i gruppi e le comunità capi, fare politica si traduce principalmente nel fare educazione. Educare alla libertà e allo spendersi, è una scelta di campo. Ci viene chiesto di fare qualcosa del nostro tempo e la partenza è questo: una scelta di servizio concreto, programmato, felice. Ma non si può improvvisare. Ci vuole competenza e umiltà: riconoscere che non siamo dei supereroi, che dobbiamo prima allenarci, che non siamo gli unici attori del sociale e dell’educazione, che non siamo i migliori in quello che facciamo. Questa è la nostra scelta di campo politica, o almeno, quella a cui tendiamo.
Queste parole di Don Giovanni Barbareschi, partigiano, scout e medaglia d’argento alla Resistenza, dicono tutto.
“A cosa vuoi dire di sì e cosa vuoi dire di no? Questo lo devi decidere tu prima: queste sono le preghiere del mattino. Guardare la giornata e decidere: a cosa dico si e a cosa cosa dico no?
Perché o si agisce come si pensa o si finisce per pensare come si agisce”
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