In queste settimane di pioggia e neve ho visto alcuni luoghi che non conoscevo. Come l’Oratorio dei Proti, un posto magico dove vivono persone anziane, in comunità, l'una affianco all’altra, proprio in centro. Quindi, la Bottega San Faustino, una piccola osteria nascosta in un angolo magico della città che è Piazzetta Goffredo Parise, dove lo scrittore viveva e ambientava storie che – diceva – traevano ispirazione dai suoni surreali del cinematrografo Odeon, il cui schermo era dietro il Portone di questa chiesa. Ci sono le sue parole, scolpite su una parete, che lo ricordano: “su un terrazzino al terzo piano, udivo i suoni e le parole che accompagnavano immagini che non vedevo. Se dovessi riassumere questa emozione in poche parole, anzi in una sola, direi semplicemente che essa era un’emozione poetica”.
👞 Per arrivare a Piazzetta Parise, mi avventuro per le vie di un Centro quasi deserto: piove a dirotto. Percorro strade che sono luoghi di incontro da sempre; nei primi anni Trenta del Novecento erano la sede ufficiosa della cerchia di Giuriolo. Intorno a questo professore si raggruppano persone, negli anni, soprattutto la sera. Docenti, giovani, studenti, ragazzi delle Parrocchie: i Filippini, Santo Stefano. In una città addormentata, iniziano a scambiarsi libri, riviste, pareri, recensioni. Una rete che si allarga con il passaparola. È Giuriolo ad attirare come una calamita personaggi diversi, rapiti da questo giovane professore senza tessera, e quindi precario, un uomo pacato, timido, che riesce però a dare un senso alle scelte, alle serate di qualcuno, girando le strade poco illuminate della città per “tirarsi fuori dall’ambito delle famiglie (o dell’ambiente casa-scuola-campo sportivo), sottrarci al giro delle influenze automatiche e ovattanti tra cui si era cresciuti”💬.
Chiesa di San Faustino |
💭 Ma esistevano gruppi che si muovevano slegati, inconsapevoli protagonisti di microproteste, e alcuni di loro approdarono all’antifascismo: ragazzi nati negli anni Venti. Forse, si può ancora girare la città in cerca di momenti, persone o luoghi così. Ovviamente senza pretendere di trovare maestri: è sufficiente un’osteria appartata per parlare in tranquillità senza cellulare, dove ognuno si spieghi “senza proporsi di dimostrare qualcosa”.
💬Antonio non separava ciò che studiava e pensava per conto proprio da ciò che insegnava a noi. Era proprio questa la forza del suo insegnamento: non c'era tono didascalico, non svolgeva un programma. Parlava delle cose a cui si stava interessando senza proporsi di dimostrare qualcosa, o di convincerci. Ci faceva assistere al suo rapporto vivo con esse, ciò che ammirava, ciò che detestava. Non mi pare che si curasse molto di accertarsi in qualche modo, come si farebbe a scuola, che capivamo e imparavamo. Non c’era tempo per questo. Ti trovavi davanti a un mondo di idee oggettivate, che parevano tuttavia strappate dal tuo interno. Le avevi davanti, toccava a te arrangiarti.
In questo modo S. si trovò a contatto con un uomo colto, e con una cultura viva.
La nuova cultura aveva dentro una tagliente lama politica. Si richiamava a una civiltà già esistente (quella che doveva essere crollata sotto i colpi del Duce, press’a poco negli anni in cui S. era nato), ma era piena di forza rinnovatrice, e politicamente rivolta al futuro. Il suo impegno immediato era la lotta per ciò che prospettava come la “redenzione” del nostro paese;
Essa veniva a toccare la cultura scolastica e la struttura della mente di S. in tutta una serie di punti critici, e in ciascuno di questi l’effetto era esplosivo. Per la prima volta gli pareva di pensare, e si sentiva pensare. Se in principio gli avrebbe fatto spavento e ribrezzo l’idea di poter diventare “antifascista”, ora quel sentimento s’invertiva, e alla fine sarebbe inorridito di essere ancora fascista. Fu un processo esaltante e lacerante insieme: un po’ come venire in vita, e nello stesso tempo morire》[1]
[1] Meneghello L., Fiori Italiani
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