Oggi che nevica mi ricapita fra le mani il CD che ho consumato più di ogni altro: Riportando tutto a casa. Perché? Forse per via del Canto di Natale, forse per il fatto che trovo sempre molto attuali quelle canzoni che, se cresci davvero, ascolti al liceo ma dopo non più. “Dopo” è meglio musica più elaborata, possibilmente intimistica e magari straniera. Ma io sono rimasto indietro (o fermo?) con i gusti e con gli anni. Ci sono dischi che non riesco a fare finta di non ascoltare più.
È un cd “impegnato”, nella misura che si rivolge a quel pubblico giovane orientato dalla giovane età, con quell’aggiunta di fate e storielle che – lo ammetto – rendono i temi un po’ superati.
Chi se ne frega. Questo ultimo periodo di Primarie è stato appassionante. Personalmente, non è stata una “campagna” che mi ha coinvolto giorno e notte, con passione furente e telefonate continue, ma nel mio piccolo sì, sono stato coinvolto.
Parlando con i miei amici ho subito intuito che il tema delle Primarie non scaldasse più di tanto. Non parlo dei tanti (troppi) già coinvolti. Mi interessava parlare con altri (associazioni, famiglie, amici). A pochi fregava granché, a dire il vero. Eppure, con il passare del tempo – e con l’aumento dell'attenzione mediatica, i fiumi di storytelling nei social, parole scambiate nello spogliatoio del calcetto - ho come pensato che l’importanza del voto fosse cresciuta. E così è stato, i numeri delle Primarie sono stati impressionanti.
Incredibili, poi, i numeri dei giovani. I non-numeri. Domenica scorsa speravo di sbagliarmi, mi dicevo che era un’impressione dovuta a quel seggio, dal cercare continuamente nell’elenco signore classe ’30, ’40.. (che poi, ci arriveranno a votare a maggio?)
Sono andato a guardare meglio. Boom: la percentuale di votanti, per i ragazzi fino ai 20 anni, è stata del 2%. Dell’8%, fra i 20 e i 30 anni (cioè la medesima degli ottanta-novantenni). I picchi di voto sono quelli delle fasce che vanno dai 60 agli 80 anni. Come dire, questa giornata non ha toccato minimamente le persone sotto i 30 anni.
Si potrebbe obiettare: “questo dato è normale”, “è un fenomeno che segue i dati nazionali ed europei”, “devi guardare il tipo di consultazione”, “ecco, quelli del bicchiere mezzo vuoto”… No! Questa cosa non può andarci bene. Non tanto perché il mio candidato ha perso, quanto perché quella parte di città, ad oggi, non è consultabile, conosciuta. Non si sa come parlarci. Tutto qua.
Abbiamo peccato a non pensare a loro, a non aver comunicato con loro. Mi ci metto dentro in quel “noi” anche se non c’entro nulla coi tre candidati, anche se non era quello lo strumento per intercettarli, quei “numeri”. Però pecchiamo ad aspettare che arrivino loro da noi, a preparare loro dei moduli, ad invitarli ai dibattiti o ai giri in quartiere. Pecchiamo a pensare che una buona campagna sui social equivalga a comunicare e coinvolgere. Sono molti (purtroppo) quelli che considerano il rifiuto di qualsiasi proposta esistente una modalità per esprimere insoddisfazione nei confronti dell’offerta politica. “Non voto, non è il mio partito, nessuna delle proposte mi rappresenta”. Frase che ho sentito fino alla nausea.
Eviterei di analizzare questo 2 e 8% come protesta contro BPVI, SPV, PFAS, BB e via dicendo. Il rifiuto (“è del PD”, “è troppo giovane”, è troppo vecchio”) intrappola gli uni e gli altri in un ciclo di abbandono e cinismo, un circolo che diventa vizioso nel momento in cui i più anziani (e domenica si è visto) hanno una maggiore propensione al voto e modellano così le politiche di tutti. I giovani, vedendo un sistema che gli offre poco, tendono ancora di più a tenersi fuori. Ma è andata così domenica scorsa?
Una cosa è certa: le campagne, viste da queste fasce di età, sono iperrealiste e autoreferenziali. Ma come fare? Perché non coinvolgendo queste fasce vince chi è più bravo a portare persone, non certo chi ha più idee, preferenze decise, metodi - valori.
Quel 10% è troppo poco, perché da lì arrivano persone abituate a plasmare il mondo sulle proprie preferenze, personalizzando, ad esempio, la musica che ascoltano, le notizie che consumano. Esco dalle percentuali perché non mi competono.
A me adolescente è piaciuto tanto quel CD. Già dalla copertina. Mi piace quel rivendicare un’identità meticcia, fatta di storielle, Irlanda, Resistenza, strumenti musicali, kefiah, giornali, libri, sciarpe di calcio, qualche bottiglia, cartine. Ho provato a riprodurre la copertina centrandola su di me. È venuto fuori questo imbarazzante risultato:
A me adolescente è piaciuto tanto quel CD. Già dalla copertina. Mi piace quel rivendicare un’identità meticcia, fatta di storielle, Irlanda, Resistenza, strumenti musicali, kefiah, giornali, libri, sciarpe di calcio, qualche bottiglia, cartine. Ho provato a riprodurre la copertina centrandola su di me. È venuto fuori questo imbarazzante risultato:
Ho pensato: quante persone pubblicherebbero un album simile al mio? (quasi nessuno, probabilmente 😅). Quali copertine assemblerebbero allora? Non lo so. Certo è che la questione della rappresentanza continua a intrigarmi, in senso positivo, mi tiene sveglio e voglioso di urlare che per questo 90% non si può parlare solo di amministrare bene ed evitare che le destre ritornino. Queste argomentazioni indeboliscono la democrazia e fanno sì che le persone non votino (che è esattamente spostare il baricentro politico a destra). La formula migliore, evidentemente, è spostare l'attenzione verso ciò che accade al di fuori della istituzioni; altrimenti si crea un vuoto ancora più grande tra la vita reale e quella politica. Io, più di quelli che votano a destra o M5S, Possamai o Dalla Rosa, temo quelli che non votano più. E ho una gran voglia di stare a vedere le cose migliorare, da qui alle prossime elezioni.
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