Mi fa soffrire l’idea di
boicottare uno strumento così bello e
importante come il Referendum. Qualsiasi passo, piccolo o grande che sia, che
serva a portare i cittadini a riflettere e a confrontarsi, è una cosa alta “di default”: esercizio di democrazia. Per
questa ragione, non condivido granché la polemica sullo spreco dei (senz’altro)
tanti milioni che servono a organizzare il referendum: ogni volta che si
interpellano i cittadini per indagare le loro opinioni, conoscere i loro sogni,
la loro vita, non vengono sprecate risorse. Che siano le trivelle o la gestione
di una città o di una Regione: la
democrazia non è un costo inutile.
Ma
non in questo caso. Non tanto per la spesa dell’organizzazione,
e nemmeno perché - su questo tema - i soggetti proponenti cavalcano pericolosamente
– questo, purtroppo, è nelle loro facoltà - un’onda populista e demagogica. Quello
che mi preme di più, semmai, è proprio l’idea che andare a votare “sì”
(leghisti o non leghisti, destra o sinistra) serva per “esercitare la democrazia”.
Questo referendum non è uno
strumento di democrazia. Lo penso sia da un punto di vista formale che di
sentimento, di “feeling”.
Il nostro “Sì” è l’unica
risposta possibile al quesito. Già questo è un segnale di poco rispetto per il confronto
e la partecipazione: il popolo non deve esprimersi su alcunché. Chi non vorrebbe maggiore autonomia? Ma il quesito referendario, in origine, non
era questo. I sostenitori del referendum ci
dicono che la Regione chiede “maggiori poteri” e “maggiore legittimazione” per
andare a “trattare l’autonomia con
l’appoggio del popolo”. Eppure, è evidente come la Lega e il suo
Governatore in origine volessero altro: risulta chiaro dalle leggi regionali, approvate
tre anni fa, in cui il Presidente della Giunta veniva autorizzato a
interpellare la popolazione su quesiti giudicati
chiaramente eversivi. Come il primo, che diceva espressamente:
-
Vuoi che il Veneto diventi una Regione indipendente e sovrana?
Già questa
domanda dovrebbe farci sobbalzare dalla sedia: quanti genuini
elettori del sì andrebbero a votare con lo stessa convinzione e col medesimo sentimento,
sapendo che la domanda – in partenza - era di tale portata, completamente
diversa da quella generica e inconsistente che voteremo il 22?
I quesiti originari, ben
6, sono stati cancellati perché
incompatibili con la Costituzione italiana. Solo l’ultimo quesito,
apparentemente innocuo per la sua genericità da quinta elementare, tende
anch’esso a ottenere quello che non si può avere: una regione “quasi-speciale”.
Quanta meschinità: utilizzare
la mole delle risposte positive come strumento
di ricatto contro il governo e contro tutte le altre regioni che sarebbero
destinate a rimetterci. È questo lo
spirito veneto? Per cosa andranno a votare allora le moltissime persone che
pensano di dire “la loro” sul tema
dell’autonomia? Sulla
questione del residuo fiscale? Questa non è certo di competenza del referendum.
Eppure le possibilità di autonomia
offerte dalla Costituzione ci sono eccome. La Carta dice proprio:
Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, possono
essere attribuite alle altre Regioni [quelle
non a statuto speciale], con legge dello Stato, su iniziativa della
Regione interessata.
Ma
noi scegliamo di forzare, instillando un risentimento che – abbiamo visto
questi giorni – può diventare pericoloso per tutti. Da vent’anni, la Lega
stra-vince le elezioni a suon di “Roma ladrona”: i veneti, quindi, si sono espressi molte
volte a favore di più autonomia. Qui sta il punto: la vera autonomia si può
ottenere – referendum o meno – solo col voto del Parlamento. È quindi facendo battaglia con lo Stato e
con il resto dell’Italia che pensiamo di ottenere risultati? La strada di
un conflitto con lo Stato è tragicomica e controproducente.
Di
fronte a tutto questo non provo vergogna
nell’astenermi. Queste persone che mi chiedono di “esercitare la democrazia”,
sono le stesse che quasi 10 anni fa contribuirono in ogni modo a impedire che
noi veneti ci esprimessimo sulla questione Dal Molin: battaglia che aveva
riguardato tutti, persone di ogni colore politico. Ricordo quei momenti. La
delusione del voto bloccato, la fiaccolata in piazza. Ricordiamo le democratiche
posizioni leghiste del tempo? Oggi come allora, loro erano e sono i “paroni a
casa nostra”.
Porto
il ricordo di questa ferita, come di tutte le macchie che hanno sporcato la
storia del Veneto in questi anni: dai piccoli Joe Formaggio sparsi nelle nostre
terre, fino ai finanziamenti pubblici, il sistema sanitario, le banche Venete, la xenofobia, l’istituzionalizzazione
della paura, del razzismo.
Da un punto di vista
politico, che occasione persa per i Partiti e i movimenti che hanno il COMPITO
e il DOVERE di rappresentare un’alternativa culturale e politica alla Lega.
Davvero incredibile che nel grande carrozzone dell’autonomia-indipendenza siano
saluti tutti, ma proprio tutti, i partiti, i movimenti, i Comuni del territorio,
compresi quelli che sanno quanto sia inutile questo referendum, ma che per
ragioni di convenienza e di consenso, rimangono zitti.
Davvero i miei complimenti
ai ragazzi del Comitato per l’astensione. Unica voce fuori dal coro,
un piccolo gruppi di ragazzi dai 25 ai 30 anni: per fortuna, qualcuno c’è. In un referendum di questo tipo, dove
obiettivamente non si può rispondere “no”, l’unica alternativa logica al “si” diventa
– purtroppo - l’astensione. Chi non condivide questa
Politica ha dunque poche alternative nell’immediato: non partecipare al voto,
convincere le persone che si debba utilizzare seriamente il percorso previsto, senza
urlare, senza forzare, parlando seriamente del tema del federalismo con tutte
le altre regioni.
Io sono orgogliosamente veneto,
regione con una storia secolare, una cultura aperta agli altri da sempre: Venezia, la
New York del suo tempo, fu capitale
del mondo, città cosmopolita e
multietnica fin dall’origine. Io provo a
dare un piccolissimo contributo studiando la storia e la letteratura, facendo
politica e volontariato. Non posso sopportare l’attuale egemonia culturale e politica della mia regione. A volte, mi viene
voglia di piangere e di gridare “non è
così per tutti!” Ripenso al Veneto e ai veneti; mi coglie l’aristocratico
pensiero di andarmene, di sentirmi una persona superiore che non sono: per
fortuna il pensiero mi abbandona subito. Non avrei nemmeno il coraggio…
Come fare per resistere a
tutto questo? Non ne ho idea! Mi viene in mente la resilienza, quella capacità di un metallo di resistere a urti e
torsioni (cioè sopportare). E poi la solita retorica dei piccoli gesti
quotidiani, passando anche per una scelta difficile come l’astensione. Fare il
nostro in attesa che – inevitabilmente – arrivino i giorni migliori. Mentre
scrivo queste parole, il mio gatto Athos dorme sulla bandiera del Veneto che da
qualche giorno ho posizionato in salotto. Quando l’ho ricevuta, in qualità di
rappresentante d’istituto al Pigafetta più di dieci anni fa, ho subito pensato
di gettarla via: era infatti un regalo dell’assessore Donazzan. Per fortuna non
l’ho fatto. Nonostante loro si siano
presi anche il Leone, il mio segno zodiacale, ci tengo ancora. È la mia
bandiera, proprio come “sta lingua che so
ma che no parlo”; io ne faccio tesoro e memoria, come mi insegna Bandini:
Sta lingua la xe quela
che doparava me nona stanote
vardandome da dentro la soàsa.
La boca stava sarà, le parole
mi le sentiva ciare.
Me nona
la ga imparà sta lingua da le anguane
che vien zo da le grote
co sona mesanote
caminando rasente le masiere:
e da le róse
dove le lava fódare e nissói
se sente ciof e ciof sora le piere
e te riva un ferume de parole
supià dal vento
che zola par le altane.
Me nona
se ga levà na note co le anguane
par vegnere in sità.
Par paura dei spiriti che va
de sbrindolon tel scuro
la diseva pai trosi la corona.
La xe rivà de matina bonora:
subito dopo un brolo de pomari
ghe iera case e case da ogni banda.
La domandava el nome de na strada,
scoltando na sirena
la xe rivà in filanda.
«Senti sta tosa come che la parla»,
i pensava vardandola tei oci
i botegari e i coci,
«la pare un stelarin che vien dai orti»…
Sta lingua
la so ma no la parlo,
la xe lingua de morti.
Da Santi
di Dicembre, Garzanti, Milano 1994
Grande Joe! ...analisi lucida e commuovente... :) penso che rispecchi il pensiero e lo stato d'animo di molti...
RispondiEliminaGrazie Charlie. Facciamo qualcosa anche noi? Ci troviamo martedì. :)
RispondiEliminaE questo sarebbe il risultato di studio di storia e lingua?
RispondiEliminaLo stendere una bandiera regionale pochi giorni prima di scrivere un'articolo così?
Senza contare che i quesiti non erano 6 ma 5, ma si confondono due leggi separate, la legge 15 proposta da Forza Italia, e la legge 16 di Indipendenza Veneta. Entrambi partiti che con la lega hanno poco a che fare, almeno nei termini proposti qui.
Qui si confonde alla grande "l'essere veneti" di una sinistra progressista come quella Europea (sinistra autonomista se non indipendentista) con il falso "essere veneti" della sinistra italiana, tutt'altro che interessata alla cultura veneta e al suo popolo, ma più incentrata ad utilizzare l'etnonimo per diffondere un'idea assolutamente sballata sul referendum, non tenendo per nulla in considerazione alcuni punti del diritto che questo referendum andrà a toccare, come il diritto internazionale.
E non basta neppure essere giovani come principio di sufficienza, se gli stessi sono facilmente riconducibili a "Bersani presidente", "nuova sinistra" meno civiche, più pd", "giovani democratici", binario1", ecc. che tutto hanno tranne l'interesse dell'essere veneti.
Stendiamo un velo pietoso sulla lingua che non si sa parlare ma che ci si guarda dall'imparare.
Questo è essere veneti?
Ma per carità.