Entro
davvero in profondità, sudo le pagine uscendone con gli occhi rossi alla sera, ed
è lì che sento scivolare via quel poco di francese che c’è in me. Non capisco
se sia reale o meno, scienza o bugia, sarà che lo sforzo di legare incastrare
incollare le parole dell’italiano occupa tutti i miei pensieri – che non sono né
complicati né numerosi; procedono lentamente, uno ad uno… un passo alla volta –
cosicché les mots justes si perdono nel parlato, balbetto: blablabla. Almeno il sujet, quello sì, resta sempre d’oltralpe.
Madame la France sei proprio gentile ad aspettarmi per tutto il tempo
necessario. Ma non lo voglio, nossignora!
Questo lavoro
è sforzo che cattura. Non che si ottengano grandi risultati, soprattutto per
studentelli modesti come me. Difatti mai penso al «risultato»: solo a questa
fatica che mi piace, questa idea del «lavorare» che fa sorridere perché ci sono
di mezzo le parole (le mie). Possono
dare soddisfazione? Lo credo, perché sono mie, e sebbene molto modeste, le scelgo
- come i fiori da piantare in un orto, che io non ho mai avuto, ma chi lo sa
fra qualche mese…– le sbaglio, le cambio, eccetera. Ogni pagina è una martellata
sulla roccia che giudico tristemente inutile; qui vicino
insistono a scavare buchi nelle montagne chiamandole «gallerie», anch'io a
volte ho l’impressione di picchiare duro per niente. Vado avanti come un mulo che
almeno “si dirige” a finire qualcosa. È questo un pensiero che mi piace, che mi
fa stare bene.
È un
lavoro che faccio da solo, e non è un male restare da soli, anche se davanti
alle lettere da scegliere e poi digitare non c’è nessuno che possa o voglia dirti
«che bravo che sei per quello che fai». Peggio per loro, meglio per noi! C’è
solo una persona che controlla, che giudica e ti fa ricominciare da capo pagine
che sono ore, giorni di lavoro.Mentre penso alla parola giusta per continuare il
discorso, mi sfiorano milioni trilioni vagonate
di pensieri. Uno è quello che mi spinge a scrivere queste righe, l’impressione
che le cose francesi siano al giro di boa, che si cominci, piano, lentamente, a
virare verso casa. Ma è ancora tutto così distante e vago, non riesco e non
voglio decidermi, alla fine è giusto un pensiero fra una riga e l’altra. Ci
sguazzo, dentro a queste impressioni, mi fanno sentire grande, un ottimo
vicentino.
È decisamente una Buona Pasqua
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