Non ero mai arrivato a Parigi con
un treno e da solo. Penso a quanta fortuna bisogna avere per poterci arrivare, in
città così grandi e profonde, in treno e da soli. Non ho alcuna urgenza,
nessuna tabella: mi ritrovo a passeggiare con il mio amico senza preoccupazioni,
senza donne e senza mappe.
Così ci incontriamo a Parigi e a
ripensarci sembra di essere finiti dentro a uno di quei film dove succedono cose
molte belle, ma dopo qualche tempo. C’è luce a Parigi, un gran sole di fine
estate che già preannuncia l’autunno, un arancione che renderebbe meravigliosa
anche la città più becera. Camminiamo lentamente e par hazard lungo i boulevard, ci sentiamo molto a nostro agio, con
noi stessi, con la città. Ci fa ridere pensare che i nostri percorsi siano così
simili e così opposti, che proprio ora ci diamo il cambio fra la grande Francia
e la nostra piccola città che tanto amiamo: notre ville. Siamo felici. A Lollo
piace l’idea di tornare a casa esattamente quanto lo rattrista lasciare Parigi,
mi chiede se sono contento, perché sto per tornare a Grenoble.
Sono felice, e lo sai. Vorrei
scriverci qualche parola e scattare qualche foto ma ancora non mi riesce, non metto
a fuoco, non trovo le parole giuste: succede con le cose importanti, si arriva
piano, lenti, ma si arriva. Gli dico: sono sollevato, sereno come non mai.
A lui non basta questa risposta,
per lui tutto è un po’ bianco un pò nero e odia sviare: forse stavolta ha anche
ragione. Mi chiede se riuscirei a vivere a Parigi. Questa domanda è più facile,
perché la risposta è no: farei fatica a costruire qualcosa di mio, intimamente
mio, a ricordare le cose, le facce, conoscere e amare un pò di tutto.
Ma sul serio, non hai mai letto
Novecento?
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