Sul Vicenza Calcio e sul calcio in generale ho speso tante (troppe) parole. So che, aggiungendone altre, urterò la pazienza di qualcuno. Già molte teste - coinvolte davvero, o meno – hanno ricordato il Lanerossi in qualche modo, in questi giorni.
Io lo faccio ancora, lo stesso. Questa squadra sono io, è la mia vita, sono le mie scelte (anche se è difficile a credersi), è il mio quotidiano, le mie relazioni, parte di sogni reali e di delusioni brucianti.Il mio amico Umberto, dopo anni di viaggi e peripezie, è arrivato a vedere per la prima volta una partita con me al Menti. Ha scritto una cosa che mi ha molto colpito:
"Non ne capisco niente di calcio. Credo che uno dei lussi oggi sia anche cambiare idea e dire: mi sono sbagliato. Se ne va un pezzo della mia città, e ho capito: poche cose contengono migliaia di storie. Una squadra di calcio contiene migliaia di storie, di persone, come una guerra. Non avrei mai pensato di provare tristezza per il calcio, è riuscita a darmi una lezione questa squadra, meglio tardi che mai. Forza Lane."
È stato il messaggio che ho apprezzato più di ogni altro. “Poche cose contengono migliaia di storie”. Ho osservato a lungo queste "cose" negli amici che hanno compiuto scelte diverse dalle mie, cose che a volte anche io ho provato. “Passioni”, “hobby”: come vogliamo chiamarle queste "cose" che contengono migliaia di storie? Non mi interessa. Le riconosco nei viaggi, nella montagna, nel ballo, nella musica, nei festival, nell'impegno politico.
Delle tante “ storie” che legano il bianco e il rosso alla mia vita, ho scelto di appuntarmi queste istantanee, immagini un po’ sfuocate, di anni diversi. Non sono immagini romantiche e nemmeno poetiche, ma sono mie e sono reali. Con questo giuro di finirla, perché il calcio non è tutto, e il calcio a Vicenza non è finito.
La mia famiglia. Il pranzo la domenica dal nonno ai Carmini, la tavola rotonda con zii e cugine, “gli uomini” (io l’unico nipote maschio) in bicicletta verso lo stadio. Stavo sul palo della bici di papà, sul poggia-sedere griffato Gatton Gattoni che ancora usa. In curva potevi entrare gratis se eri alto fino a così.
L’invasione di campo della festa promozione. Una bandiera a scacchi biancorossa comprata in Viale Mazzini durante i caroselli che ho perso solo l’anno scorso a Verona, quando è finita davvero. Chissà.
Il goal - di cucchiaio - di Sgrigna al Toro a dicembre con la neve. Quello di Cavalli al Napoli. Tutte le meravigliose giocate di Stefan Schwoch in campionati mediocri, le sue lacrime e la scelta di restare a Vicenza. Il goal al Verona. "Mamma che goal". In generale, ogni volta che gonfiamo la rete, in ogni categoria.
Le partite in notturna sotto la neve e la pioggia, e il giorno dopo scuola, la mamma che dice che prendo freddo, la soffitta in Corso Padova.
Empoli, il cielo toccato con un dito al goal di Paolucci, il cuore a pezzi quando sbaglia il rigore poco dopo, le interminabili ore in bus al ritorno.
Quei locali dove siamo di casa e che (credo) di questo fallimento siano tristi più di noi. Pitanta, l’Osteria a Santa Barbara, il St. Peter’s, il Bar Astra, la rotatoria di Ponte degli Angeli.
Persone (molte di merda) con le quali parlo tutti i giorni di Lanerossi. Posti, città, bar dove non sarei mai andato e dove non ritornerò. Una pioggia di fumogeni bianchi l’ultima partita; fumo dalle orecchie, fumo nel naso.
“Quand'è che mi sveglio?! Sono anche troppo sveglio. Vorrei non esserlo, vorrei dormire per le prossime dieci stagioni."
“Stagioni? Sono stufa di sentir parlare di queste stramaledette stagioni, nella vita reale si chiamano anni, Paul. Sai, da gennaio a dicembre!”
“Non per tutti è così!”
Fumo |
Nessun commento:
Posta un commento