Sento il dovere di condividere una riflessione sul tema del nuovo Presidente della Provincia, perché da quando sono stato eletto, è forse la questione che più mi ha interrogato e fatto “soffrire”, considerato poi che su di me, consigliere di Vicenza, pesa anche la responsabilità di rappresentare (nel mio piccolo) il mondo civico e l’area del centrosinistra nell'interesse generale.
Questi sono giorni di vacanza “forzata” per noi insegnanti, a seguito del rischio allagamento, occasione per prepararmi alle riunioni, alle Commissioni e ai direttivi in programma. Domani poi è un giorno importante, in V Commissione si parla di Ipab e, soprattutto, si vota per il Presidente della Provincia.
Io e gli altri colleghi di minoranza di Vicenza non parteciperemo.
Sono nuovo nel mondo dell’Amministrazione e della politica in generale, quindi provo a fare un favore a me stesso e alle persone che mi stanno vicine spiegando cosa significa questo voto. Non per dare lezioni, ma per capire bene l’importanza di questo momento per la nostra Comunità e per spiegare perché dico: “scelta sofferta”. In questi giorni veniamo definiti “consiglieri ribelli”. Sebbene sia un aggettivo che a me piace molto, in questo caso mi rende triste perché quello che ci muove, invece, è distantissimo dalla “ribellione”.
Mi spiego. Dopo l'esito del Referendum Costituzionale, la Provincia rimane un Ente al servizio dei Comuni e al servizio dei cittadini, gestendo funzioni fondamentali come, ad esempio, le strade, le scuole medie superiori, l'ambiente, nonché alcune funzioni delegate dalla Regione come l’urbanistica, la protezione civile, il turismo. La Provincia nomina anche i rappresentanti in Enti, Aziende, Consorzi, Istituzioni, Società e organismi partecipati. Insomma, una grande responsabilità. Anche perché il Presidente della Provincia adotta provvedimenti amministrativi solitamente in forma di decreto, ovvero in una forma definitiva e immediatamente esecutiva. Un grande potere.
Dal 2014 però non si vota più andando ai seggi, perché questo voto è delegato ai sindaci e ai consiglieri comunali in carica a Vicenza e nella sua Provincia. Il voto viene ponderato a seconda della fascia di popolazione del comune rappresentato dall'elettore: abbiamo proprio una scheda di colore diverso, perché il voto di noi consiglieri di Vicenza, rappresentanti del Comune più grande, conta diversamente (di più).
Gli scorsi 4 anni hanno visto come Presidente Achille Variati, che ha voluto impostare il suo governo non secondo la logica “centrodestra contro centrosinistra”, bensì come “Casa dei Comuni”, luogo di collaborazione fra amministratori di città e provenienze politiche diverse per governare un’area vasta nell'interesse di tutti.
Le ultime settimane sono state particolari. Chi mi conosce sa che non prendo questi appuntamenti “alla leggera”, soprattutto perché essendo nuovo cerco di informarmi il più possibile, nel rispetto più totale del mio ruolo e delle istituzioni con le quali ho l’onore di interfacciarmi. Sono poi un convinto sostenitore del dovere del voto, a maggior ragione in questo caso dove faccio da tramite.
Da qualche tempo io, Sandro e le persone che con me fanno politica, abbiamo chiesto, valutato, indagato chi fossero le persone che si volevano offrire per questa importante carica. Sapevamo che dopo le recenti elezioni il “vento” politico in Provincia girava a favore del Centrodestra, ma guardavamo, per esempio, con grande ammirazione e speranza a figure “nuove” come il giovane Sindaco di Chiampo Macilotti, che poteva essere il profilo di un amministratore “dal basso”, slegato da appartenenze ideologiche o partitiche, dove convergere insieme ad altri.
Ebbene, è successo che a poche ore dal termine di presentazione delle candidature, tutte, ma proprio tutte, le anime amministrative provinciali (centrodestra, centrosinistra, civici) convergessero sulla figura del Sindaco Rucco, con accordo firmato da alcuni rappresentanti circa le deleghe, le Vicepresidenze, la conformazione del futuro Consiglio Provinciale.
Una situazione a noi totalmente sconosciuta e, chiaramente, davvero difficile.
In primo luogo, avevamo bene in mente le parole del Sindaco che esprimeva – giustamente - la preoccupazione sulle difficoltà che il quadruplo ruolo (Sindaco, Cultura, Sicurezza, Provincia) potesse comportare in un momento in cui la Città necessita del massimo impegno. Il Sindaco poi è solo da qualche mese alle prese con le difficoltà dell’amministrare, una responsabilità ben diversa da quella del “consigliare”.
In secondo luogo per il metodo con cui è avvenuta la scelta, che riflette la mancanza di un progetto condiviso. Che bello sarebbe stato trovarsi con altri amministratori della nostra terra, non dico per fare scelte diverse, quantomeno per conoscersi e capire, valutare di persona con chi doveva essere l’anima e il motore di questo accordo!
In generale penso che, ancora una volta, si sia persa un’occasione. Un centrosinistra sempre più in crisi di consenso, perché in crisi di idee, ha scelto (pur con le sue ragioni) un accordo di spartizione delle cariche piuttosto che impegnarsi nella stesura di un documento programmatico forte e condiviso che individuasse le priorità di intervento nel territorio.
So di per certo che le persone che hanno lavorato per questo accordo hanno agito in buonafede, pensando al bene di tutti, anche di quegli amministratori di centrosinistra che resistono nei nostri territori e che non possono rimanere fuori, lasciati soli, esclusi. L’amarezza però viene dal pensare al nostro compito, al dovere di rappresentare – anche - un’alternativa culturale e politica alla Lega e alle destre, di provare piano piano a valorizzare quei modelli veneti che resistono a questa lunga onda che oggi ci governa ad ogni livello.
Mi viene in mente questo passo dei Piccoli Maestri (guarda caso, ambientato in Provincia..)
"In tutta la provincia avvenivano le stesse cose, come al mio paese. La gente si radunava, si contava, sbandati fraternizzavano con in nuovi renitenti, le famiglie incoraggiavano. c'era un moto generale di rivolta, un no radicale, veramente spazientito. Il moto degli animi investiva non solo il regime crollato, ma l'intero mondo che in esso si era espresso. La gente voleva farla finita e ricominciare. Tutti andavano a tentoni. Tutto era nell'idea di doversi arrangiare da sé, perché si sentiva che tutto era andato in un fascio, sia il fascio che il resto; e così qualunque iniziativa, anche la più moderata, conteneva un germe di ribellione, e questi germi fiorivano a vista d'occhio. Gli istituti non c'erano più, li avremmo potuti rifare noi, di sana pianta; era ora".
Desidero spendere un piccolo pensiero per la nostra amata Biblioteca Bertoliana, che ha recentemente cambiato le persone alla sua guida i prossimi anni. È un luogo a cui devo tantissimo, davvero tanto, perché dentro quei palazzi pieni di storia e di opere preziose dal punto di vista umano, artistico, storiografico, archivistico, ho passato fra le ore migliori della mia vita, da studente come da volontario del Servizio Civile.
Tante volte ho ascoltato il Presidente Giuseppe Pupillo. Soprattutto quando offriva a noi volontari l’immancabile caffè di metà mattinata, interessandosi del nostro lavoro, raccontandoci le novità da Palazzo Cordellina. Non lo nego, i suoi racconti mescolavano la speranza alla rassegnazione, dovuta al continuo naufragare di ogni progetto, dall’assenza cronica di un investimento strutturale di cui la Bertoliana aveva bisogno come l’aria per diventare il punto di riferimento culturale della Città. In lui, come in tutti i lavoratori e professionisti della Biblioteca che curano questo patrimonio fra mille difficoltà, non ho mai visto toni sopra le righe, prese di posizione preconcette come, ormai, succede quasi ovunque: è sempre più facile puntare i piedi e lasciar chiudere.
Investire su questo luogo invece non è un “vezzo” culturale, un’idea come le altre: è un’emergenza, una necessità dovuta al fatto che il sistema-biblioteca (aule studio, scambio prestiti, conservazione di strutture storiche e patrimonio librario antico e moderno ), semplicemente non regge più con queste risorse, in questi spazi. Nonostante questo, la Bertoliana è ancora un patrimonio riconosciuto a livello nazionale (e non solo) per le sue opere antiche e rare, per il suo personale specializzato che offre anche gratuitamente o in modo precario la sua competenza, ma soprattutto per la voglia di stare insieme al di là delle etichette e delle appartenenze che è il senso ultimo dell’idea di Biblioteca: uno spazio libero per le persone e per il sapere.
Proprio per questo motivo fa rabbia pensare a quanto non si è fatto e non si potuto fare. Ho letto l’intervista alla nuova Presidente Visentin, che dichiara in anticipo che i suoi consigli li prenderà dal professor Giulianati, spendendosi in dichiarazioni non entusiaste sul lavoro svolto in questi anni da associazioni come Amici della Bertoliana, della quale, a scanso di equivoci, non faccio parte. Porgo alla Presidente Visentin gli auguri di buon lavoro, sperando possa portare presto a risultati concreti, più concreti dell’annunciato cambio di denominazione che, francamente, non sembra la priorità. Mi permetto solo un piccolo appunto, Presidente: non disprezzi il lavoro di chi l’ha preceduta. La Bertoliana è il luogo di tutti, non ha colori politici. Le persone che ha citato nell’intervista hanno fatto tanto. Senza l’indispensabile appoggio dell’Amministrazione, e la volontà politica generale di puntare decisamente sulla Biblioteca, come non è stato fatto finora, ogni discorso è vano.
Noi ci siamo.
Sono trascorsi 125 giorni dalle elezioni che hanno consegnato una nuova Amministrazione alla mia Città. Sembra passato molto tempo, in realtà è successo poco. Pochi i Consigli comunali, poche le Commissioni, poco lo spazio per il dibattito.
È grande invece il tempo e lo spazio sui giornali, le foto, gli annunci su Facebook. È anche grande, lo posso giurare, la voglia di partecipare, di riunirsi in associazione, di promuovere iniziative per la nostra attualità come per il lungo periodo: la cultura (Perché Vicenza non può sognare di esserne Capitale?), la nascita di centri sociali aggreganti, il progetto di una scuola politica.
Di frequente persone della mia vita, amici, elettori che non sapevo di avere, mi fermano per chiedere conto delle dinamiche in Comune, un giudizio su questa e su quella persona, “cosa si può fare”. Io sono onorato di parlare di Vicenza e fungere da tramite, per quanto mi è possibile. Molti si aspettano un elenco delle cose che non vanno, degli errori dell’Amministrazione, dei suoi rappresentanti in Consiglio, un giudizio, un voto. Chiaramente, è mio dovere valutare e monitorare, dare un indirizzo.
Non è invece nel mio stile, né in quello dell’Associazione che rappresento, il ruolo di agenzia stampa per la produzione di sentenze, pratica che nella politica e nella società di oggi si spreca ad ogni livello, dove si fa a gara per dare giudizi di “incompetenza”, “incapacità”, “corruzione”: la soluzione più facile. In questi mesi, sto imparando anche a conoscere prima di dire, qualche volta sbagliando.
Pensavo di scrivere di questi primi mesi da Capogruppo di minoranza. Oggi però sul giornale l’amico Giovanni Diamanti scrive un articolo dal titolo “La crisi dell’opposizione senza leader” che mi ha fatto molto pensare, e che mi offre l’occasione per fare il punto.
Giovanni concentra la sua riflessione sulle forze di minoranza di cui faccio parte, accusandole di essere "divise, senza un leader forte e riconosciuto” e a tal proposito fa un paragone con chi, dalla Minoranza, è passato oggi a essere Maggioranza: “Non è un caso che alla fine ad essere eletto sia stata una delle poche voci ostinatamente contrarie in questi anni, Francesco Rucco".
Non entro nel merito della sua analisi, anche se, per quello che ho potuto vedere, non credo che la candidatura del Sindaco Rucco abbia avuto un percorso “forte” né condiviso, e non ho visto negli anni precedenti un’opposizione “ostinata e dura” come lui la descrive.
Questi termini però, lo ammetto, mi intrigano molto. Non passa giorno senza che mi confronti con persone circa l’equilibrio da tenere fra “radicalità” e “impegno civico”, sul non “sembrare troppo moderati” e “ottenere dei risultati”. Mi viene alla mente quando, questa estate, uscendo da Fornaci Rosse, un ragazzo – forse complice la birra - mi ha fermato dicendomi: “Selmo, tu sei giovane e hai anche un piercing. Devi essere radicale, battere duro!”.
Excursus a parte, è un tema che mi interroga non poco.
Proseguendo con il suo ragionamento, Giovanni traccia un percorso: “Il centrosinistra e l'opposizione dovrebbero compattarsi e dar vita a un nuovo progetto a lungo raggio, identificando già ora delle figure che possano guidare questo percorso. Figure giovani, nuovi leader, che non facciano sconti alla maggioranza e che sappiano offrire progetti e prospettive.” Le caratteristiche del “leader” sono poi i temi di ogni campagna elettorale: “Forte sul territorio”, “presente nelle periferie e frazioni” e “meno legato ai partiti”.
Concordo con Giovanni: un leader serve sempre, e con queste caratteristiche. Ma in questo momento, mentre sorseggio un caffè sul tavolo della cucina, cercando informazioni sul depuratore di Casale (tema della prossima Commissione Territorio), in questo istante sento dentro di me il desiderio forte di sfidare una visione statica e deterministica delle cose. La sfido perché vorrei vedere nella nostra Comunità, nel nostro Paese, emergere prima di tutto una cultura politica e poi, solo poi, che questa venga valorizzata da un leader. In particolar modo oggi, che i disillusi sono la maggioranza.
Sono tempi duri per chiunque si definisca di sinistra (ma io preferirei dire “per chi opera a sinistra”) - io non lo nego. Sono anni che a sinistra si cerca un leader condiviso. Sembra di vivere in un’opera di Beckett in cui si aspetta Godot, il leader di una fantomatica sinistra che dovrebbe essere in grado di fare battaglia sulle idee ancor prima che sulle persone. “Il 2023, politicamente, è dietro l'angolo. Viviamo i tempi della campagna permanente, e Vicenza non è impermeabile alle nuove esigenze della politica veloce” – scrive Giovanni, che è anche un professionista del settore.
Lo dico: mi spaventa la “campagna elettorale permanente”. Mi spaventa il rischio di farci scavalcare dalle scorciatoie, dall'esigenza compulsiva di essere sul giornale un giorno sì e l'altro pure. Mi spaventa scadere in un’opposizione – in un impegno - che sia sola facciata e trafiletti sul giornale, ad un linguaggio sempre colorito, da "piazza". Ovviamente non è di questo che parla Giovanni: ma è il rischio che io avverto.
Mi discosto però dall'ansia del “candidato da trovare” e pongo l’accento sul presente da curare con un percorso davvero controcorrente, che non si proponga in prima battuta di far cadere il governo del Paese o della città, ma di farlo funzionare al meglio.
Chiara, la persona con la quale io e i miei amici ci siamo - insieme - “candidati”, mi ha regalato queste parole che vorrei condividere con voi. Perché le porteremo dentro Da adesso in poi (la nostra piattaforma, non l'unica, non la migliore) con molta umiltà e tanta convinzione.
“Penso che ognuno di noi, compiendo le proprie grandi o piccole scelte quotidiane, si conceda delle occasioni per “stare dentro” alcune situazioni piuttosto che altre. Ognuno di noi fa le proprie strade e grazie ai propri percorsi può raccontare ciò che coglie e, anzi, se ognuno potesse sentirsi libero di raccontare le cose belle o difficili che sta capendo, potremmo regalarci gli uni gli altri alcuni piccoli specchi dentro cui guardarci!
Per me l’importante, quello che mi ha fatto decidere di candidarmi, è essere prossima, poter stare dove nascono e si condividono i pensieri di chi desidera governare... per mescolare anche i miei pensieri... per aprire punti di vista... condividere le mie idee!
Oggi, in questo momento della mia vita, questo è R-ESISTERE... esistere dentro cose che non capisco fino in fondo, che mi spaventano e che mi mettono davanti a quel maledetto specchio.”
“La vera cultura è mettere radici e sradicarsi. Mettere radici nel più profondo della terra natia. Nella sua eredità spirituale. Ma è anche sradicarsi e cioè aprirsi alla pioggia e al sole, ai fecondi rapporti delle civiltà straniere...“
(Léopold Sédar Senghor)