lunedì 26 febbraio 2018

Questo posto amerò più di ogni altro

Si vota. Si è scritto di razzismo, estremismo, rifiuto del diverso. Una larga parte politica spinge forte per alzare barricate contro i migranti, l'Europa, i diritti. La maggioranza del paese si compatta nella sfiducia o nel rancore, in questo modo il mondo politico conservatore punta deciso al Governo.
Si è scritto di “nuovo fascismo” che fa presa sui giovani e sui “rimasti fuori”. Ecco, possiamo dare a questo rifiuto del bene comune il nome che preferiamo, ma penso che sia vero. Mi domando quale sarà la rappresentanza in Parlamento per il Paese che vuole al centro i diritti, l’integrazione, lo studio che porta al lavoro. (Non mi interessa quale colore, quale sigla).

Il poeta Bandini era iscritto al Partito Socialista quando questo era ancora di Nenni. Io non ho idea della vita e della politica di allora. Immagino - però – quel socialismo come un tentativo, un modo per riformare il mondo, cambiarlo in meglio. Bandini faceva politica (come Consigliere Comunale) e faceva poesia. Insieme. Ma non faceva poesie politiche. Fissava i ricordi di un’Italia che non c’è più (le tanto svilite “radici”). Scriveva di Vicenza.

L’Italia descritta era contadina, una civiltà rurale regolata sul ciclo delle stagioni e sul lavoro nei campi. Era incazzato con Vicenza (schiaccerò la cupola di rame del Palazzo Della Ragione): città ottusa, servile, democristiana. Immobile e pesante. Ma amava il cuore antico e nobile dei suoi palazzi, le sue ville, la sua gente. Amava il dialetto parlato da tutti, ma anche il latino dei preti e delle persone di cultura. Il ruolo attivo della sua poesia ha il valore della testimonianza, per resistere al peso della Storia e alle spinte peggiori del suo (nostro) tempo.

La nuovissima raccolta con tutte le sue poesie
Qui descrive in modo epico la sua vita a Vicenza, le giornate passate alla Bertoliana, a consultare libri e dizionari. Prova nostalgia, invidia per chi ha trovato fortuna altrove, rabbia per chi parla senza titolo. Ma dice anche della scelta di rimanere e cambiare.

Cosa voglio dire? Non lo so, sto provando a dare un senso al prossimo voto. Chissà che lo sforzo del poeta sia anche il nostro di elettori (perdenti, incazzati, indecisi). Chissà di riuscire quantomeno a entrare in cabina e fissare dei valori - anche se non siamo poeti - contro la peggiore "modernità". Questo. Escludere l’incompetenza e l'egualitarismo disinformato che sconfessa chiunque: medici, professori, specialisti, bravi politici. Esponendo la testa alla ventate scremare, allontanare, per quanto ci è possibile, le forme palesi o occulte di razzismo, il fascismo che trova terreno fertile nell'ignoranza, nella superficialità, nella volgarità.

Allora, cosa dite? (Non rispondono,
è inutile sperare che si sveglino
i vecchi abbati
al rintocco di aprile. (…)

No, non mi riferisco al presto o al tardi,
al fare o al non fare
e se oggi o domani.
Parlo d’anni lontani
quando il cuore fu gonfio
e la speranza un naviglio ormeggiato
desideroso di poter salpare.

Io parlo delle nuvole vaganti
su questi tetti
Ad ogni nuovo autunno,
delle mille sigarette
la cui cenere ho sparso
per tutta la città,
dell’adolescente carità
che poco tempo stette
tra noi, poi andò via.

Ed ecco viene con l’inverno il tempo
di slitte e biblioteca,
neve e filologia.
Viene il tempo
del codice pavano sotto il fioco
Sussurro della lampada,
e il dolce bulicame dei glossari
che mette pace tra i venti contrari
delle passate età
e la nuda parola ci rimena (…)

E viene con l’inverno
il tempo di salire alla collina
e tornare ragazzi
con mani e piedi e non secondo il frusto
mito dell’infanzia.
E com’è forte il gusto
del ghiaccio in bocca,
com’è bella la neve non tòcca
sulla spalletta,
come mi piace vivere!

Tutte le cose trascorrono in fretta
ed io rimango
ancora qui nella città natale.
Il mio cuore è un pluviometro,
esponendo la testa alle ventate
so la velocità del temporale.
E un giorno con un pugno schiaccerò
la cupola di rame del Palazzo
Della Ragione,
ma sempre in ogni stagione
questo posto amerò più d’ogni altro.

(Questo posto amerò più di ogni altro, presente nella raccolta "In modo lampante", 1962)

mercoledì 14 febbraio 2018

Lettera d'amore


Febbraio. Sui giornali della mia città, leggo opinioni e idee sulla Biblioteca Bertoliana. Amministratori, ex amministratori, futuri amministratori, ma anche appassionati, fruitori, amici. Si grida aiuto, fretta, "soluzioni", anche se è evidente che questo gioiello, incastonato nel Convento dei Padri Somaschi, stia soffrendo da tempo, e assieme ad esso i suoi libri, preziosi o meno, conservati nella Stanza del Capitolo o nelle celle che furono dei monaci. È evidente che quello della Biblioteca sia (anche) un problema di spazi, di contingenze storiche ed economiche. Ma (anche) di scelte (scelte politiche). Grazie a forze generose ma insufficienti, in difficoltà ma tenaci, questo luogo sopravvive.


Uno dei momenti più emozionati del mio servizio civile in queste stanze è stato vedere alcune lettere, lontane e preziosissime. Io ricordo quella recuperata da una scatola sigillata, uno scritto inedito aperto dopo cinquant'anni di attesa, che Luigi Meneghello aveva scritto alla moglie Katia. L’abbiamo usato per una mostra, perché è bella, questa lettera, sotto tanti punti di vista. Katia, internata nel campo di sterminio di Auschwitz nella primavera del 1945, è l'unica sopravvissuta della sua famiglia. A Malo conosce Luigi che, dopo la Resistenza, si trasferisce per lavoro a Reading.

Oggi è San Valentino. Soprattutto nei paesi di cultura anglosassone, come l'Inghilterra, un tratto caratteristico è lo scambio di valentine, bigliettini d'amore (spesso sagomati). Si stima che ogni anno vengano spediti il 14 febbraio circa un miliardo di biglietti d'auguri, al secondo posto, come numero di biglietti acquistati e spediti, dopo Natale.


No, Meneghello non ha mai scritto delle “valentine”. Le sue lettere, piuttosto, sono delle poesie. Tante di queste sono conservate in Contrà Riale. Come quelle che Gigi scrive a Katia in questa lettera ricca di sogni, dove immagina per lei (per loro) una stagione finalmente felice: fin da quando lei arriverà in stazione, e per tutto il viaggio fino alla nuova casa. "Ci sarà tempo, per tutto". 

“Non vedo l’ora di venire a Dover a cercarti tra la gente che sbarca; non figurarti una costa aperta ai venti, una bella scena di cinematografo, con il mare davanti e le nuvole alle spalle, sospese sopra i pascoli verdi, ecc. Tutto avverrà invece in una casetta davanti alla stazione, tra passeggeri, ufficiali della dogana, e valigie, e un po’ di fumo, se non sbaglio. Prenderemo il primo tè nel piccolo bar della stazione, più bello di quelli soliti in tutto il resto d’Inghilterra, ma non affatto bello in sé (Ursula vorrebbe che ti bendassi gli occhi e ti conducessi in fretta attraverso le loro stazioni, senza farti vedere le case basse, i muri affumicati, le strade semibuie). Ma quando il treno esce da Dover, e si riscopre il mare, e poi si procede dentro alla campagna del Kent, come sono belle e dolci, d’autunno, le luci, e come morbide le forme! È un vero peccato che tu arrivi d’inverno: avrei tanto voluto che tu arrivassi – come me – un po’ prima di sera, e facessi a questo modo la tua conoscenza dell’isola dove pianteremo famiglia. Ma ci sarà tempo, per tutto, e dopo l’inverno verrà la primavera, che qui è bellissima e improvvisa, e, nel suo pieno, ricca di verde e di fiori.”
“Così ti bacio tanto tanto, e poi un altro poco ancora.”


Luigi Meneghello alla moglie Katia, 3 ottobre 1948.

lunedì 5 febbraio 2018

Molta gente va in giro senza testa

Il lavoro nelle scuole elementari doveva essere temporaneo e invece, proprio come in Italia, niente è più definitivo del provvisorio. Eccomi in un’altra scuola, stavolta dedicata al grande poeta dei piccoli Gianni Rodari. È tempo di Carnevale, vacanze, maschere e lavori a tema.

La Rodari diventerà anche un seggio, dopo Carnevale. Io, al primo giorno in ogni nuova scuola, mi trasformo in sociologo-sondaggista ed indago le tendenze politiche del nuovo contesto territoriale. Questa volta con le classi quinte. Ecco in esclusiva le domande più rilevanti: 1 - Cosa vuoi fare da grande? 2 - Qual è la materia ti piace di più? 3 - Quale di meno? Perché? 
Mentre osservo che, su 24 intervistati, la maggioranza (60%) non è di famiglia italiana, alla televisione danno la notizia dell’attacco razziale a opera dell’ultrà di Salvini.

La domanda 1 mi sorprende per l’originalità di risposte, ben 21 sono diverse, uniche (solo 2 calciatori e 2 youtuber si ripetono). Grandi! Sentite le loro idee: maestra di asilo, truccatrice, chirurgo, archeologo, venditore, avvocato, ostetrica, banchiere, zoologo, paleontologo, scienziato, camionista, astronauta, attrice, stilista. 

È carnevale. Non insegno italiano, ma una filastrocca intelligente, inventata da chi dà il nome a questa scuola, è Carnevale di Gianni Rodari. Il protagonista è un cappello senza testa che passeggia tranquillamente per le strade di una città; le persone, vedendolo, reagiscono con le solite parole, quelle che - in tempi di elezioni - vomitiamo un po’ tutti. Ottima la risposta del cappello: «- È scappato dalla vetrina! / - Certo, è un cappello ladro! / - Portatelo in guardina!». Ma il copricapo gli risponde per le rime: «- Calma, - disse il cappello, / - oggi ogni scherzo vale. / Molta gente va in giro senza testa / anche quando non è carnevale».

Nella domanda numero 2, nettissima vittoria (quasi il 50% degli intervistati) per Scienze e Storia. Il 40%, invece, non apprezza Religione. “Non mi piace perché sono di un’altra religione ed è noiosa” dice S., “la maestra è severa, e io sono ortodosso”, dice invece A. Riguardo Storia, invece, “sono interessanti i popoli evoluti”, secondo A., mentre a D. “interessa sapere le civiltà vecchie”, “e poi ci sono i greci!” (dice R.). Un po’ come per Scienze, perché “mi piace scoprire delle cose che non so su di me” (A.).


 "Carnevale" di Fernando Bandini, in "Santi di Dicembre", Garzanti, Milano 1994.
Anche Fernando Bandini dà voce ad un bambino, vittima di incubo strano: durante un giorno di carnevale, in una via, il piccolo incontra un tizio travestito da donna grassa che lo ferma e lo invita nella sua casa tentandolo con dolci e giocattoli: «Ciò, bel toseto, vuto / vegner su a casa mia? / Go confeti e coriandoli, / un trenin co la susta / che fa tuu tuu, na bela scuria e un burlo...». Il bambino lo segue ma una volta entrato nell'edificio scopre di avere a che fare con un mostro e esclama: «Mama, che 'l ga 'l cortelo! / Mama, che 'l perde bava / da la dentiera come un can buldò!». 

Chissà se qualche maestro sia davvero - per loro - un can buldò. Quanto a me, can buldò è quel leader politico che sguazza nel mare incontrollato della violenza razzista e fascista. Certo è che ai ragazzi dell’anno 2007 piace molto la studiare la polis, conoscere le diverse forme di democrazia, i modi di vivere, l’organizzazione sociale, l’arte; e poi l’impero di Alessandro, il primo a distruggere i confini fra Occidente ed Oriente, greci e persiani; il suo grande sogno cosmopolita di cancellare tutte le barriere del mondo, aprire al commercio, ai flussi migratori, allo sconosciuto.