domenica 31 dicembre 2017

2018, avventura!

Auguri! Come per altre occorrenze (Natale, compleanni, matrimoni) ci si scambia questa parola (anche) nella speranza di crescere o migliorarci, all'inizio di qualcosa. 


Ho comprato dei libri di avventura. Sì, persino la tranquilla Vicenza può portarci in paesi meravigliosi ed esotici, selvaggi e inospitali. Ho usato l’inverno (il gatto, le coperte, il freddo fuori) per cercare storie di Jack London e di Corto Maltese. Le loro vite sono avventura vera, quella che si può trovare anche in un racconto, reale quanto una notte in bivacco, un fuoco, una ciaspolata.

Vicenza cosa c’entra?

C’è un vicentino, uno scrittore poco conosciuto vissuto nel primo Novecento, che abitava nei pressi di una bellissima Villa nascosta alle porte di Vicenza: Ca’ Impenta. C’è ancora, ma è chiusa, celata ad occhi troppo impegnati ad arrivare al vicino centro commerciale Palladio. Durante l'insurrezione di Vicenza, nel 1848, in una sala di questa villa (quartiere generale austriaco) fu firmata la resa della città tra i generali di Radetzky e quelli di Durando.

Gian Dauli è il nome di questo vicentino. Un viaggiatore, come i personaggi citati prima: in Inghilterra, dove si sprovincializza, quindi in Francia, Belgio, Germania, Spagna. A Roma apre tipografie, riviste. Si arruola, è inviato ad Asiago, dove perde l’orecchio nella battaglia dell’Ortigara. Antifascista convinto, come altri vicentini dal grande 💗 venuti prima e dopo di lui. I suoi scritti sono censurati. Fa tradurre e pubblicare autori da tutto il mondo, al tempo veri sconosciuti, come Conrad, Yeats, T. Mann. Molti dei suoi titoli vedranno luce dopo la guerra, come Viaggio al termine della notte di Celine

Un “ribelle”, non tanto per il suo atteggiamento durante il Ventennio, quanto per aver scelto l’avventura, scrivendo e traducendo storie che venivano direttamente dal disordine e dalla fame. Internazionale e vicentino, provinciale e creativo, quel compromesso che – ne sono convinto – è possibile, una via di mezzo che può diventare una ricchezza spendibile per gli altri, come in una città (che ne ha bisogno, anche nel prossimo 2018).

Sto leggendo un libro di London non molto conosciuto, nella sua prima edizione, tradotta da questo vicentino atipico, proveniente da quella villa speciale. Forse, solo un traduttore con una certa biografia poteva interpretare uno scrittore dalla vita incredibile quanto i suoi romanzi. London fu inscatolatore di lattine, razziatore di ostriche, poliziotto dei mari, marinaio e cacciatore di foche, vagabondo, scaricatore di porto, cercatore d’oro, attivista politico: il tutto condito da quella fiammella di idealismo che lo ha portato ad aderire al socialismo, e a marciare su Washington con un esercito di disoccupati ("l'esercito industriale": la "Kelly's Army") negli ultimi anni dell'800.

Jerry delle Isole è l'ultimo romanzo che ha pubblicato in vita. Un terrier irlandese è il protagonista, ancora una volta un cane. Siamo nel Pacifico del Sud a inizio ’900, un avventuroso arcipelago con acque solcate da navi impegnate nella tratta dei neri, e isole abitate da cannibali e cacciatori di teste. Due universi: quello umano, pieno di faide e razzismo; e quello canino, dominato dall'amore, dalla fedeltà e dal coraggio. Un'avventura molto attuale quindi.

Le acque del Pacifico non sono nuove per London. A me, non possono che ricordare l’amicizia che lo lega a Corto Maltese. Il marinaio vagabondo più misterioso e affascinante di sempre. Amici da tempo, si sono già incontrati in avventure immaginifiche. Nella classifica dei cento libri più importanti del Novecento, i capolavori di Pratt e London, Una Ballata del Mare Salato e Martin Eden, si trovano uno dietro l'altro. Che sia un caso? 

Dauli, London, Hugo Pratt… persone e scrittori che vivono in prima persona l’avventura che poi mettono in scena nei loro romanzi. Ecco l’augurio che mi rivolgo, e che giro ai vicentini di città e non: di migliorarci, crescere. Un augurio per un 2018 grandioso, all'avventura, senza perdere la normalità ma nemmeno l'esotismo, da qualunque angolo di mondo noi vogliamo vivere una favola.

“Sarebbe bello vivere in una favola”
“Ah, sì, sì… tu vivi continuamente nelle favole, solamente non te ne accorgi più. Quando uno adulto entra nel mondo delle fiabe non riesce più a uscirne. Non lo sapevi?" 
(Hugo Pratt, Corto Maltese, "Corte Sconta detta Arcana", gennaio 1974) 

domenica 24 dicembre 2017

La Luce di Vicenza

Vigilia di Natale. Scrivo poche parole: non aggiungo nulla alla magia del momento e niente di più a chi, sempre con le parole, ha descritto Vicenza nella forma più alta. C'è un articolo (l'ho trovato studiando per la mia tesi): ha quasi cinquant'anni ed è stato pubblicato a pagina 3, una domenica del 1961, su La Stampa di Torino. L'autore è Guido Piovene, che quel giorno parlava agli italiani per spiegare cosa provasse passeggiando per i monti di Vicenza in una mattina di sole come questa, con una luce particolarmente bianca e gli altipiani che si lasciano vedere, quasi toccare. Mi scalda il cuore: anche per me queste mattine bianche del Veneto, a vista dei monti, "preparano quasi sempre serate altrettanto incredibili”.

Anche io ho camminato. Nel mio piccolo ritrovo tutto: le stesse sensazioni e la stessa bellezza. Nel mio piccolo, c’è la messa di Natale, il presepe di papà al Duomo, dove i vicentini accorrono a mezzanotte senza sapere bene il perché, o quando abbiano iniziato a farlo. Le luci mi ricordano quelle lanterne rosse di qualche anno fa, il concerto dell’Osteria, gli amici nuovi e vecchi con i quali "uscire nella strada per il gusto d'uscire, tutti allegri, sfregandosi le mani e guardando in aria”, giorni sereni senza frenesia e pensieri negativi.

Piovene si domanda a cosa è dovuta la nostra idea di «bello» e di «brutto». E forse ha ragione: ci immaginiamo un paesaggio che ha poco di naturale, di fisico e di concreto. È piuttosto uno scenario fuori dal tempo, “con le sue tinte più pittoriche che naturali”. Casa..

Buon Natale a tutti noi.  🙌😼

"Due giorni passati a Vicenza. Ho la sorpresa di scoprire che alcune sensazioni, anche molto lontane, non sono così seducenti solamente perché manipolate, abbellite dalla memoria. O perché eravamo giovani, o per altri motivi d'indole soggettiva. Mi accorgo che esse corrispondono a verità di fatto; e per questo non vivono solo dentro di me, come fantasie o come ombre, di una vita illusoria, ma è possibile recuperarle come cose attuali.

Certe straordinarie mattine nella fascia del Veneto che corre lungo le montagne, potevo per esempio crederle quasi un'invenzione mia. Le ricordavo infatti incredibilmente bianche, incredibilmente azzurre; con una luce così bianca che dava per se stessa una esaltazione vitale, senza però nulla di rigido, una fusione assolutamente felice di bianchezza e di morbidezza. Ed intonata ad essa un'aria leggera dava un'euforia fisica, senza cui ritengo impossibile una vera emozione estetica, la quale esige un perfetto equilibrio tra la natura e noi, l'assenza di qualsiasi incomodo e di qualsiasi stonatura. 

Ricordavo i vecchi ed i giovani che uscivano nella strada per il gusto d'uscire, tutti allegri, sfregandosi le mani e guardando in aria; pensavo che fosse un sogno. Ecco invece, proprio una di quelle mattine quali non ne ho viste di simili in nessuna parte del mondo. Quel bianco assoluto ed affettuoso, che presuppone e contiene il colore, e nemmeno una nuvola. Nessun disturbo dalle cose, nessun particolare errato, io che di fronte a quasi tutto, opera di natura o d'arte, avverto sempre un particolare che stride e mi guasta il piacere.

Queste mattine bianche del Veneto a vista dei monti preparano quasi sempre serate altrettanto incredibili: tinte inconsuete del cielo, lune che sembrano mai viste, paesaggi d'astri che piovono sulla pianura. Sono veramente convinto che le colline venete fronteggianti i monti di là d'un tratto di pianura, con la più vasta pianura verso il mare alle spalle, siano al centro di qualche straordinaria e fortuita combinazione naturale che non si riproduce altrove, quasi di un piccolo mistero di vicende atmosferiche. E' forse un incontro di luci, quelle alpine e quelle marine, che vi 'si scontrano e raccolgono come le luci in un diamante. Certo che anche il più piccolo arbusto prende colori delicati, preziosi e soprattutto sorprendenti.

Penso che i nostri giudizi di bello e di brutto abbiano un fondamento empirico. Troviamo bello tutto ciò che abbiamo associato per la prima volta a un'idea di bellezza. Per quanto mi riguarda, qualunque cosa io dica o scriva, bello è ciò che assomiglia in qualche modo ad una di queste mattine e ad una passeggiata su questi colli. Non è una teoria di moda, ma tanto peggio per la moda, tanto peggio per me. Naturalmente dico assomigliare nel significato più largo. Può assomigliarvi un paesaggio e lo stile d'un libro, una persona, un sentimento, una dottrina filosofica o un'idea morale.

A volte, la scossa della somiglianza mi sorprende viaggiando nei luoghi più impensati, nei quali dovrei essere più spaesato, e senza il minimo motivo di cui possa rendermi conto. Per esempio, l'anno passato, l'ho provata presso Bukara, sul margine di quel deserto d'un colore grigiastro sotto un cielo di seta. Sarà stati forse una pianta, forse un'affinità di luci, ma mi è parso d'un tratto di trovarmi in un cerchio dove il Veneto scaturiva come una corrente che avesse attraversato metà del mondo sotto terra. Mi prese una fantasia stravagante, che se avessi guardato bene tra quella gente in turbante e vestaglia, avrei scoperto visi a me conosciuti, dei luoghi dove sono nato, forse qualcuno del mio sangue, morto per me da anni, e invece trasmigrato a vivere in quell'angolo d'Asia dove mi passava accanto, e non mi riconosceva."


✏ Guido Piovene , La luce di Vicenza
«La Stampa», domenica  12 febbraio 1961

domenica 10 dicembre 2017

Riportando tutto a casa


Oggi che nevica mi ricapita fra le mani il CD che ho consumato più di ogni altro: Riportando tutto a casa. Perché? Forse per via del Canto di Natale, forse per il fatto che trovo sempre molto attuali quelle canzoni che, se cresci davvero, ascolti al liceo ma dopo non più. “Dopo” è meglio musica più elaborata, possibilmente intimistica e magari straniera. Ma io sono rimasto indietro (o fermo?) con i gusti e con gli anni. Ci sono dischi che non riesco a fare finta di non ascoltare più.

È un cd “impegnato”, nella misura che si rivolge a quel pubblico giovane orientato dalla giovane età, con quell’aggiunta di fate e storielle che – lo ammetto – rendono i temi un po’ superati.  

Chi se ne frega. Questo ultimo periodo di Primarie è stato appassionante. Personalmente, non è stata una “campagna” che mi ha coinvolto giorno e notte, con passione furente e telefonate continue, ma nel mio piccolo sì, sono stato coinvolto.

Parlando con i miei amici ho subito intuito che il tema delle Primarie non scaldasse più di tanto. Non parlo dei tanti (troppi) già coinvolti. Mi interessava parlare con altri (associazioni, famiglie, amici). A pochi fregava granché, a dire il vero. Eppure, con il passare del tempo – e con l’aumento dell'attenzione mediatica, i fiumi di storytelling nei social, parole scambiate nello spogliatoio del calcetto - ho come pensato che l’importanza del voto fosse cresciuta. E così è stato, i numeri delle Primarie sono stati impressionanti.

Incredibili, poi, i numeri dei giovani. I non-numeri. Domenica scorsa speravo di sbagliarmi, mi dicevo che era un’impressione dovuta a quel seggio, dal cercare continuamente nell’elenco signore classe ’30, ’40.. (che poi, ci arriveranno a votare a maggio?)

Sono andato a guardare meglio. Boom: la percentuale di votanti, per i ragazzi fino ai 20 anni, è stata del 2%. Dell’8%, fra i 20 e i 30 anni (cioè la medesima degli ottanta-novantenni). I picchi di voto sono quelli delle fasce che vanno dai 60 agli 80 anni. Come dire, questa giornata non ha toccato minimamente le persone sotto i 30 anni.

Si potrebbe obiettare: “questo dato è normale”, “è un fenomeno che segue i dati nazionali ed europei”, “devi guardare il tipo di consultazione”, “ecco, quelli del bicchiere mezzo vuoto”… No! Questa cosa non può andarci bene. Non tanto perché il mio candidato ha perso, quanto perché quella parte di città, ad oggi, non è consultabile, conosciuta. Non si sa come parlarci. Tutto qua.

Abbiamo peccato a non pensare a loro, a non aver comunicato con loro. Mi ci metto dentro in quel “noi” anche se non c’entro nulla coi tre candidati, anche se non era quello lo strumento per intercettarli, quei “numeri”. Però pecchiamo ad aspettare che arrivino loro da noi, a preparare loro dei moduli, ad invitarli ai dibattiti o ai giri in quartiere. Pecchiamo a pensare che una buona campagna sui social equivalga a comunicare e coinvolgere. Sono molti (purtroppo) quelli che considerano il rifiuto di qualsiasi proposta esistente una modalità per esprimere insoddisfazione nei confronti dell’offerta politica. “Non voto, non è il mio partito, nessuna delle proposte mi rappresenta”. Frase che ho sentito fino alla nausea.  

Eviterei di analizzare questo 2 e 8% come protesta contro BPVI, SPV, PFAS, BB e via dicendo. Il rifiuto (“è del PD”, “è troppo giovane”, è troppo vecchio”) intrappola gli uni e gli altri in un ciclo di abbandono e cinismo, un circolo che diventa vizioso nel momento in cui i più anziani (e domenica si è visto) hanno una maggiore propensione al voto e modellano così le politiche di tutti.  I giovani, vedendo un sistema che gli offre poco, tendono ancora di più a tenersi fuori. Ma è andata così domenica scorsa?

Una cosa è certa: le campagne, viste da queste fasce di età, sono iperrealiste e autoreferenziali. Ma come fare? Perché non coinvolgendo queste fasce vince chi è più bravo a portare persone, non certo chi ha più idee, preferenze decise, metodi - valori.

Quel 10% è troppo poco, perché da lì arrivano persone abituate a plasmare il mondo sulle proprie preferenze, personalizzando, ad esempio, la musica che ascoltano, le notizie che consumano. Esco dalle percentuali perché non mi competono. 

A me adolescente è piaciuto tanto quel CD. Già dalla copertina. Mi piace quel  rivendicare un’identità meticcia, fatta di storielle, Irlanda, Resistenza, strumenti musicali, kefiah, giornali, libri, sciarpe di calcio, qualche bottiglia, cartine. Ho provato a riprodurre la copertina centrandola su di me. È venuto fuori questo imbarazzante risultato:


Ho pensato: quante persone pubblicherebbero un album simile al mio? (quasi nessuno, probabilmente 😅). Quali copertine assemblerebbero allora? Non lo so. Certo è che la questione della rappresentanza continua a intrigarmi, in senso positivo, mi tiene sveglio e voglioso di urlare che per questo 90% non si può parlare solo di amministrare bene ed evitare che le destre ritornino. Queste argomentazioni indeboliscono la democrazia e fanno sì che le persone non votino (che è esattamente spostare il baricentro politico a destra). La formula migliore, evidentemente, è  spostare l'attenzione verso ciò che accade al di fuori della istituzioni; altrimenti si crea un vuoto ancora più grande tra la vita reale e quella politica. Io, più di quelli che votano a destra o M5S, Possamai o Dalla Rosa, temo quelli che non votano più. E ho una gran voglia di stare a vedere le cose migliorare, da qui alle prossime elezioni.