Eravamo
scesi in una galleria a prendere l’acqua e ora, seduti nel bosco dopo esserci
dissetati, fumavano in pace un’alfa.
Non c’è niente di meglio, per me , che sedere nel bosco con la schiena
appoggiata a un grosso tronco e fumare guardando il cielo tra i rami degli
alberi. Fumare e fantasticare guardando il cielo tra i rami degli alberi. La
giornata era stata troppo calda e secca; il cane non aveva sentito alcun odore
e la selvaggina, ingozzata di pastura, non si era mossa:faceva
la siesta accovacciata tra i cespugli di ginepro.
Allora parlammo dell’amministrazione comunale e delle elezioni, degli emigranti
lontani e di politica, dei lavori dei boschi e dei cantieri di lavoro e di
altre cose che accadono quassù in montagna. Il tempo scorreva così. Non si
aveva più voglia di camminare; si era stanchi, oramai. Eravamo in marcia dalle
quattro della mattina senza avere sparato un colpo di fucile; né a un gallo, né
a un francolino. Niente, giornata bianca.
Il discorso languì. Accendemmo un’altra sigaretta.
Lui guardò nel bosco e cominciò :
« È stato qui, proprio in questo posto che i fascisti uccisero quel povero
Cristiano. Tu non c’eri allora. »
« Ero internato in Prussia. Come fu? » « Era l’autunno; mi pare fosse stato di novembre, una giornata nebbiosa.
Cristiano era quassù a fare legna. I briganti neri vennero dal paese in colonna, salirono di lì » e mi indicava con la mano, tra le radure del bosco la strada che avevano fatto, « presero a metà costa e vennero così di traverso. Lui stava qui, dove siamo noi. Ecco, proprio lì sotto quell’abete e stava riducendo un grosso ceppo. Batteva le scure con allegria. Te lo ricordì come era gagliardo? Si sparpagliarono per il bosco e vennero a rastrello. Bene, quando uno dei loro sentì battere le scure nelle nebbia si avvicinò come un ladro e mentre Cristiano si rizzava in alto, a braccia tese per prendere slancio, gli sparo una fucilata nel ventre.
Quel vigliacco di fascista, gli sparò cosi da vigliacco.
Quel vigliacco di fascista, gli sparò cosi da vigliacco.
Lasciai allora le bestie alla mia vecchia e corsi su con alcune donne della contrada che avevano udito la fucilata. Il tenente e gli altri erano già qui. Cristiano stava sdraiato sul dorso e ancora teneva in mano la scure, pallido e sbiancato come la neve per il sangue che gli fuggiva dalle vene. Gli gridava il tenente. « Dove hai il fucile? Dove sono i tuoi compagni? Parla che ti ammazzo ». E gli puntava la pistola sul viso. Cristiano con un filo di voce gli rispondeva : «Eccola la mia arma », e accennava con lo sguardo alla scure. « Cosa vuole ammazzare? Non vedete vigliacci che mi avete già ammazzato? »
Vidi con questi miei occhi il tenente che gli puntava la pistola sulla fronte e gli urlava parla che ti ammazzo e sentii lui che rispondeva che già l’avevano fatto e che i partigiani non c’erano.
Ed era la verità.
Nessuno di noi era ancora partigiano. A quel tempo badavamo ai fatti nostri e ne avevamo già abbastanza. Portavamo solo da mangiare a sette inglesi che erano fuggiti da un campo di concentramento e che avevamo nascosti in una galleria della vecchia guerra qua sul monte.
Quando Cristiano si accorse che eravamo arrivati ci sorrise. Sua sorella, che era salita con noi, si mise a urlare e a piangere.
Voleva cavare gli occhi al tenente.
Forse i fascisti si accorsero di aver fatto una gran bestialità perchè quando dissi che ci voleva subito un medico il tenente mandò giù in paese a cercarlo. Mi misi a bestemmiare e a imprecare contro di loro perchè vedevo che non c’era niente da fare, ma solo aspettare che finisse di morire. Pure con la scure ancora bagnata e calda di sangue, tagliai due grossi rami per fare una barella, prechè almeno morisse nel suo letto. Lì, da qull’albero tagliai i rami. Li vedi i nodi? E io davanti e due donne dietro scendemmo per la mulattiera. Loro ci seguivano con il fucile in spalla.
Giunti a casa arriva anche il dottore. Lo guarda e non dice una parola. Era medico condotto, quello che aveva fatto l’alpino con i nostri vecchi e s’era fermato qui per sempre e conosceva tutti uno per uno, anche i bambini e anche quelli che erano andati all’estero. Era ateo lui e fumava toscani, con la bicicletta andava come un pazzo. Te lo ricordi? Bene, lo guarda e non dice niente, solo prende il tenente per il petto e lo tira fuori della cucina. Era uno sbarbatello di tenente, scuotendolo come una scopa lo prende per il petto e gli sputa sul muso senza aggiungere niente.
Quando rientrò, cristiano aveva finito di morire. S'erano radunati gli uomini e le donne della contrada. Stavamo tutti zitti davanti a sua madre. Anche sua madre. Da quel momento diventammo tutti partigiani. Anche i vecchi e i bambini. Anche le donne. Ci ritirammo sulla montagna con i fucili da caccìa e più tardi avemmo mitra e dinamite. Le donne portavano da mangiare e tabacco. Le brigate nere incominciarono ad avere la vita dura. Vennero anche i lanci degli inglesi e vennero anche i tedeschi… »
La sigaretta era finita, una fila di formiche mi rasentava la scarpa. Non parlammo più sino a casa sua. Mi invitò in cucina a bere un bicchiere di vino. Sopra la credenza c’era un immagine listata a nero. Era Cristiano : nato il 14-12-1925, morto per causa dei fascisti il 17-11-1943 – la mamma e la sorella – a ricordo per gli amici.
Mario Rigoni Stern, Dentro il bosco, novembre 1957