martedì 27 dicembre 2016

Buon Natale in allergia

Lascio la biblioteca e mi ritrovo a scuola.  
Tutto è molto nuovo e molto inaspettato. Torno a giocare con i più piccoli, così come nello scoutismo:
mi convinco che per ora deve andare proprio così. Più che un maestro mi sento un bambino anche io, un alunno: chiedo sempre (ho cambiato tre classi, fino ad ora) di prepararmi una lista di cose che piacciono, domando: “cosa volete essere da grandi?”.
Insomma faccio le interviste, e tralascio l’italiano scritto, che pure dovrei insegnare: per questo compito non è importante. Sono pochi, i bambini italiani.
Per i maschietti, non serve dirlo, il sogno è fare il calciatore. Lo capisco, bombardati di calcio come sono, dal mattino alla sera. Non mi fa arrabbiare, non potrei mai, anche se mi fa incazzare che così pochi bambini si disegnino con la maglia del Vicenza, come io facevo sempre da piccolino, e anche adesso. 
Poi c’è di tutto:
D. vuole diventare Spiderman, M. (bambina che non capisce molto, di quello che dico) una maestra, F. un informatico, E. una rockstar (seconda elementare).
Condivido quasi tutto, di quello che mi scrivono.


Tanti dicono: “voglio stare fuori”, “mi piace leggere”, “non mi piace studiare”, “vorrei non andare a scuola il pomerigio”, con una sola g. Come darvi torto?
V. si spinge oltre e mi scrive che vorrebbe “un castello al posto della sua casa”: mi chiedo com’è la sua casa, vista la classe, il quartiere…

Torno a casa davvero stanco, con la forte sensazione di essere inadeguato, impreparato, inefficace.. Torno anche felice, perché è un lavoro che mi piace e dove posso vedere subito se una cosa è giusta o sbagliata. Coi bambini non esiste nessun filtro, è tutto molto vero e diretto, come L. che mi scrive “mi piace il maestro Giovani, ma non mi piace che la maestra Laura è amalata”.

Insomma c’è da lavorare l’ano prosimo, soprattutto sulle doppie.

martedì 4 ottobre 2016

il mio servizio civile


Where do we go nobody knows?

È l'incipit della canzone dei Coldplay che “riproduzione casuale” mi ha proposto stamattina, mentre mi avviavo in bicicletta “a lavoro” per l'ultima volta.
Ho dedicato gli ultimi venti mesi della mia vita per svolgere il mio “servizio civile”, in biblioteca.
Bella vita”, “capaci tutti!”: che dire, può essere.

È stato però un periodo intenso, di lavoro vero, un intervallo di tempo dove sono cresciuto molto.
In un certo senso, Palazzo San Giacomo è uno dei luoghi della Città al quale sono più legato.
Amo la città in cui sono nato: in essa ho investito tempo, energie, ho creato e curato relazioni, vi ho concentrato il mio studio e il mio lavoro.
Lo dico considerando che la maggior parte dei ragazzi della mia età e della mia generazione “normalmente” compie (o è costretta a compiere) la scelta – peraltro del tutto ragionevole – di mettere a frutto altrove i propri talenti e le proprie passioni. Non sono per niente scettico né ironico al riguardo: io stesso ho avuto l'opportunità di studiare e laurearmi all'estero, precisamente in Francia.
Ho però sempre sentito nel profondo l'esigenza - del tutto personale - di “mettermi a disposizione” della città, di spendermi in un ambiente che mi ha sempre dato molto. Sembra retorico ma non lo è: rimango affascinato ogni volta dalla piccola grande concentrazione di Cultura - a tutti i livelli - che la città di Vicenza ha prodotto nei secoli. Non sono un professore né un ricercatore, forse un semplice idealista: vuoi per l'educazione ricevuta, vuoi per la testimonianza e l'esempio dei miei professori al Liceo (i miei “piccoli maestri”)… Ecco spiegata la scelta di iscrivermi alla facoltà di Lettere, a Padova, dove ho potuto studiare Meneghello, per la tesi di laurea triennale, e Piovene, per la magistrale; dove ho conosciuto lo stile inimitabile di Goffredo Parise; da dove sono partito per leggere così tanto di Vicenza: a cominciare da una vera e propria ”istituzione” come Fogazzaro, per arrivare ai contemporanei: Diamanti, Stella, Veladiano… ; e come non citare il poeta delle nostre montagne (sono pur sempre uno scout!) Rigoni Stern, o il poeta delle nostre strade, Fernando Bandini, che così tanta parte di sé ha lasciato nelle aule della mia Facoltà? Ricordo bene il suo funerale, tutti i miei professori presenti, la lettura dei suoi versi… ma ora basta, divago!

Perché sto scrivendo tutto questo?
Perché questo immenso patrimonio di bellezza e di grandezza tutta vicentina trova - idealmente e materialmente – sistemazione, cura e riposo proprio nella Biblioteca Bertoliana.
Una volta selezionato, ho accettato senza pensarci, a dispetto di altre proposte lavorative.
Col senno di poi, da un punto di vista “professionale”, non sono in grado di stabilire se sia stata una scelta giusta o sbagliata. Questo lo giudicherò con il tempo, consapevole di quanto sia difficile, oggi, trovare un minimo di stabilità lavorativa, a maggior ragione per chi ha studiato materie umanistiche.
Sì, potrebbe essere stata una scelta sbagliata.
È stata però una scelta vera, serena, che mi ha reso felice e che mi ha fatto crescere.
Sono da sempre un utente della biblioteca: perché vicentino (i vicentini proprio qui vengono per ri-trovarsi, per ri-conoscersi), perché studioso (o presunto tale), perché amico appassionato dei libri ospitati in questo Palazzo di Contrà Riale.
Ora, avevo davanti a me l'opportunità di toccarli, questi libri, annusarli, vedere come e dove venivano conservati, in quale ordine, rispondere dal vivo alla domanda: quali altri tesori vicentini vengono qui protetti nel tempo e dal tempo?

Ho avuto la possibilità di rispondermi, di conoscere e vedere dei luoghi incredibili, come il magazzino di Palazzo San Giacomo, la Sala Manoscritti, le parti del chiostro interdette agli utenti: spazi che conservano le tracce di quello che fu, verso la fine del 1600, l'antico convento dei padri somaschi. Ho conosciuto le storie dei manoscritti e delle opere a stampa di maggior pregio conservate nella “Stanza del Capitolo”: e a quante persone capita di trovarsi da soli di fronte a una Divina Commedia del 1395, o a un mappamondo del 1448? e ancora: a erbari, bibbie, classici latini stampati nei formati più diversi, con le miniature dai colori più spettacolari?

Ho avuto la fortuna di offrire e tradurre la mia passione e le mie competenze (in molti casi: le mie semplici mani, le braccia) a servizio delle esigenze della Bertoliana: nel mio piccolo, ho fatto del mio meglio. C'è, ci sarà - un estremo bisogno di rendere “viva” la Bertoliana procedendo nella costruzione di quegli strumenti, cataloghi e inventari, che consentano agli utenti di prendere visione e di conoscere sempre meglio il patrimonio custodito: inventari, cataloghi, il mio lavoro.
Senza questi strumenti, qualsiasi valorizzazione è preclusa.

Non sono volumi qualsiasi. Io sono partito dalla Raccolta Beltrame, ricca donazione arrivata in Bertoliana pochi giorni prima dell'inizio del mio anno di servizio civile: manoscritti, libri antichi, originali autografi dedicati soprattutto alla storia della scienza e a Vicenza e il suo territorio, temi che tanto appassionarono l'imprenditore vicentino. Si tratta di materiale delicato, a volte dei semplici fogli di sentenze, abiure, bandi pubblici, lettere autografe, stampe varie.

Ho potuto anche organizzare una mostra, che abbiamo chiamata Signa, sugli autografi illustri posseduti dalla Bertoliana. Leopardi, Manzoni, Foscolo, il “mio” amato Meneghello: alcuni dei nomi di primissimo piano della storia della cultura italiana che abbiamo portato in Palazzo Cordellina. Abbiamo recuperato la storia dei personaggi, i legami di questi scritti con Vicenza, le vicende nascoste sotto l'inchiostro delle lettere.

Scrivo queste righe perché mi serve, perché nel farlo è stato bello tornare con la mente al mio lavoro: ai volumi antichi e moderni catalogati, alle facce che mi hanno parlato della Biblioteca, ai testi preparati per la mostra…

Ecco, i momenti che ho preferito - fra tutti - sono stati quelli in cui mi sono potuto avvicinare alle cose più preziose conservate qui in Bertoliana: le testimonianze dirette di autori e uomini, vicentini e italiani, del passato. Se una biblioteca di conservazione ha una macchina così complessa, elaborata, rigorosa, è proprio perché in cima a tutto questo apparato risiede l'amore per cultura, in forma di libro, di lettera, di archivio.
Curare e rendere conoscibile e fruibile la nostra cultura è l'obiettivo di una biblioteca come la Bertoliana.
Mi chiedo se la cittadinanza, e soprattutto i suoi amministratori, se ne rendano conto.

Che emozione concedersi un po' di tempo in Sala Manoscritti! Ricordo quando mi sono intrufolato nel Carteggio di Piovene -, ma anche quando tenevo in mano le lettere (mai esposte prima di “Signa”) di Meneghello alla moglie, o quando in Ufficio è arrivata una litografia del 1905 pubblicizzante le “caramelle igieniche” in vendita a Vicenza; e ancora: un antico biglietto del lotto veneziano (“il lotto delle donzelle”) trovato all'interno di in un volume della stanza Q che stavo catalogando…

chicca suggerita da Varner
Ho conosciuto dei vicentini pazzeschi. Sia vivi che morti. Fra, i vivi non posso non citare Laura, collega di Ufficio, di Servizio Civile e di viaggio nel mondo di Rienzo Colla.
E poi l'altra Laura. E Stefano, persona di poche parole ma di grande umiltà e competenza.
E infine il Presidente Pupillo, che definirei semplicemente una grande e bella persona;
e Varner, che mi ha illuminato con delle chicche di storia della musica, nei momenti della pausa.

Fra i defunti volevo citare le persone che ho conosciuto quest'anno: Fedele Lampertico, Giancarlo Beltrame, Rienzo Colla. Lavorando i loro libri, una parte di loro ho conosciuto.
Qualcosa da domandare loro ce l'avrei. Probabilmente anche qualcosa di cui scusarmi: sicuramente qualche errore l'ho commesso, sistemando le loro biblioteche.
Concludo con quegli autori vicentini che sono entrati nella “mia” personale biblioteca, quest'anno: Virgilio Scapin, Gigi Ghirotti, Giulio Cisco, Nerina Noro.

E adesso dove andiamo? Nessuno lo sa!

Where do we go nobody knows?
Don't ever say you're on your way down
When God gave you style and gave you grace
And put a smile upon your face ?”


martedì 7 giugno 2016

La grandine


Domani vado a un concerto, come succede spesso ultimamente. Che sono fortunato - e di certo abbastanza sprovveduto - l'ho sempre saputo. In questi giorni piovosi di giugno mi sento addosso "guarda che io ho altro fare", "dove lo trovi, questo tempo". Sono vocine nella mia testa, forse immaginate in bocca a chi ho allontanato, o a chi vorrei avvicinare. 
Nel frattempo ho imparato una cosa, sulla grandine, che trovo davvero forte: 


Qui, tra le case e i grattacieli, non c'è alcun motivo che quell'atmosfera d'estivo idillio muti se al diluviare incomposto succede, sibilante e rovinosa, la grandine. 
S'infrange sul selciato diffondendo intorno un misterioso odore di zolfo, arriva a ondate sempre più violente, dirada un momento e subito riprende a tambureggiare con scrosci rabbiosi. Risuona nettissimo nel turbinio lo schianto d'un vetro, la strada imbrattata di scie sinistre è già livida e scivolosa: stasera i gerani del davanzale saranno ammaccati e sconvolti e bisognerà spazzare la terrazza coperta di foglie. 
Per il cittadino la grandinata si esaurisce così nella piccola cronaca di una giornata come tutte le altre: ignoto è ai suoi sensi il rapporto angoscioso che passa tra l'ira del cielo e il pane degli uomini. A folgore et tempestate, invoca la preghiera antica, ma egli ha del flagello un'idea letteraria e vaga, come sono i pericoli del mare per chi si tiene fermo a terra. Solo al campagnolo inurbato che gli sta accanto, portato dalla sorte sotto lo stesso tetto e lo stesso ospitale portone, la prima bianca sassata che si sfarina sul selciato rimescola il sangue e mette il gelo nel cuore. Non ha terre da sorvegliare, non ha raccolti da cui spettare una rendita: il campo paterno è troppo lontano perché debba soffrire di questa furia che batte le bianche terrazze e i lucernai della città. Ma è ancora vigile e dolorosa nel suo sangue l'esperienza di generazioni che hanno arato e seminato, e temuto e sperato e patito per il raccolto; lontana e dolce c'è ancora nel suo cuore l'eco delle invocazioni sentite cantare tra il verde tenero dei campi al tempo delle rogazioni; 
nel suo ricordo c'è ancora l'immagine delle messi devastate e della madre che porta le fronde d'ulivo benedette ad ardere sulla soglia della casa perchè il cielo si plachi.



pagine 18-19

mercoledì 1 giugno 2016

la paura degli esseri umani


2 occhi e 100 sguardi per vedere dove metti i piedi
inciampo sulla mia incertezza e corro dritto fino al limite
sentirsi come una bugia sul punto di essere rivelata
e forse è già domani!
Palazzo San Giacomo [rainy day]

Si vivesse solo di inizi (e di citazioni), avrei vita facile!
Niccolò Fabi canta: vince chi molla. Allora io lo seguo a ruota, le piccolecose piacciono a me e piacciono alle persone che piacciono a me. "Mollare": io lo intendo come cambiare. 
Comincio da quello che non ho mollato mai, e mi costa fatica, cambiare, mollare, ma è giusto.
[scelta difficile] [scelta giusta] [allontanarsi è conoscersi]




quanto sei bella

lunedì 23 maggio 2016

El príncipe


Due parole in velocità su Diego Milito.


Diego Milito di Pablo Lobato. 

Già lo conoscevo, il Principe, l'avevo visto a Vicenza, faceva un gran freddo e nessuno lo guardava con troppa attenzione. Proprio a Vicenza, davanti ai miei occhi, fece due goal meravigliosi


Il 22 maggio del 2010 invece era già piena estate, in centro a Vicenza suonavano i Linea 77. 

C'era la festa degli studenti, una bella atmosfera: ovunque i ragazzi erano in festa e si preparavano all'estate, agli spritz, agli interrail

Io e il mio amico Cipe Gumiero no, decidiamo di restare ognuno a casa propria, con la famiglia, a guardare l'Internazionale che gioca la finale di Coppa dei Campioni a Madrid. Tralascio tutte le emozioni di quella stagione unica, irripetibile anche in futuro, mai compiuta da nessun'altra squadra in Italia. 


Milito segna sempre, quell'anno, in ogni momento. Segna nel derby - sia all'andata che al ritorno - , segna in semifinale contro il Barcellona, segna in finale di Coppa Italia, e segna all'ultima di campionato, decidendo lo Scudetto.


Ovviamente tutti noi interisti avevamo l'assoluta certezza che a Madrid l'avrebbe decisa lui.

Perchè questa è la magia del calcio alla Diego Milito, che arriva in cima all'Olimpo dei campioni goal, dopo goal, dopo goal. Mai una parola fuori posto, una frase da spaccone, un comportamento antisportivo: forse uno degli ultimi giocatori "romantici", alla Baggio, mi viene da dire.

Ecco, ieri io e il mio amico Jack abbiamo ordinato dalla Cina la sua maglia del Racing de Avallaneda, la sua squadra del cuore, dove è tornato a chiudere la carriera, ovviamente vincendo. 



Ci sentiamo anche noi dei principi, con la 22 sulle spalle, anche se giochiamo a Costabissara, o a Monte Crocetta.


mercoledì 18 maggio 2016

Il lotto delle donzelle



Piegato e nascosto tra le pagine di un libro settecentesco, oggi ho trovato questo bigliettino. Esteticamente brutto e apparentemente non importante, ho pensato di ignorarlo. E invece l'ho guardato meglio, l'ho studiato, e ho imparato che fra le mani tenevo un biglietto del gioco del lotto, sì, quello che oggi trovi in tabaccheria.

Questo biglietto viene da Venezia, ovviamente, la città più magica del mondo, quella con più storie; e viene dal passato. Ora ho questa piccola e vecchia testimonianza proprio fra  le mani, come spesso succede, io che sono tutto proiettato nel passato e così poco nel futuro.


Anna, Maddalena e Caterina. Biglietto del lotto trovato 3 secoli dopo da me
Già dalla fine del XVI secolo, questo gioco - al tempo gestito dallo stato - si chiamava Lotto delle Zitelle. Al tempo, la donna non aveva ancora la sua emancipazione, al punto che un buon matrimonio, e una buona dote, era l'unica prospettiva di vita. Potevano ambire alle nozze le ragazze benestanti, i migliori partiti insomma, mentre venivano penalizzate le più povere che non potevano arrivare alle nozze. 
Ecco allora questo gioco: ogni numero era abbinato a una di queste donzelle, e a seconda delle estrazioni cinque sorteggiate venivano premiate con tot ducati ciascuna. 

Ma non è finita qui! Infatti, in questo Lotto, non si potevano puntare le quaterne e le cinquine, in modo da determinare una più equa distribuzione di vincite, non "grandi vincitori" ma tutta una serie di piccole e piccolissime vincite, spalmate sulla bella Venezia
Le estrazioni erano due, al massimo quattro, ogni anno.  


Una scommessa e una bella somma, per decidere da sole cosa fare della propria vita e di quale uomo innamorarsi. 

Ecco: mi capita per le mani questa storia e penso: giocavi al lotto e lo facevi (anche) per beneficienza. 
Chissà che ne hanno fatto - queste signore - dei soldi, chissà se ne hanno approfittato per scegliere una bella casetta tutta loro, a Venezia, o per costruirsi un bel sogno a sfondo lagunare, come capita anche a me molte volte, forse anche troppe volte.




 

lunedì 4 aprile 2016

una somma di piccole (e inespresse) cose



Non riesco ad aggiornar-mi, metter-mi a fuoco
ma va benebenissimo anche così, sospeso con buona, 
buonissima musica

Dal padrone della festa n.#2 mi prendo:

odore di un libro nuovo
al 21 marzo - una matita intera - la primavera

E poi ho imparato:

un porto firmato
un bacio non dato
il futuro che cambia

lunedì 1 febbraio 2016

s-coperchio


Su le to strade
go recità la me vita.
Giorno par giorno
te go fotografà
dentro ’n tei oci.
Te porto con mi
dapartuto, ’n tel sangue.
Ghe xe i me morti
soto ’sta tera!
’N te la to aria
ghe xe le so vose,
se tuto tase
sento anca el fià.
Dentro al to gnaro
mi trovo tuto:
pianto, speransa,
sogni desfà.
Trovo anca i basi
che go ciapà.
(Nerina Noro, "Vicenza"
Basilica Palladiana, aprile 1945)